Nel Pd siciliano la battaglia è solo rimandata: un’assemblea interlocutoria (poi rinviata), tra attacchi al segretario e qualche apertura

Nessuno si aspettava che l’assemblea dell’11 gennaio potesse essere risolutiva, ma dalla riunione del Pd siciliano ci si aspettava almeno qualche indicazione più netta. Invece c’è stato del vago posizionamento, qualche dichiarazione di forma e un po’ retorica, la conferma di alcune prese di posizione, ma anche qualche ascia di guerra apparentemente sotterrata, per ora. Com’è noto, negli ultimi mesi le cosiddette fibrillazioni non sono mancate al Partito democratico siciliano, ma stavolta sembra si sia arrivati a una sorta di resa dei conti: da una parte il segretario – Anthony Barbagallo – e la maggioranza interna che lo sostiene, dall’altra una buona parte del gruppo parlamentare Dem all’Assemblea regionale siciliana (Ars), che sembra avere voglia di novità; intanto partendo dalle regole per il congresso – che si terrà la prossima primavera – fino ad arrivare a un nome nuovo per la segreteria, con un Barbagallo mal sopportato da molti e molte esponenti di quella forza politica.

Per semplificare una situazione e una contrapposizione che semplici non sono, gli schieramenti in vista del congresso si possono riassumere così: da una parte il segretario e la sua maggioranza – per loro devono essere le persone iscritte al partito a votare per la nuova segreteria – dall’altra la minoranza, che invece invoca primarie aperte anche alle persone simpatizzanti ma non iscritte al Pd. Più di qualcuno ha fatto notare che alle primarie del Pd nazionale, che si sono tenute a febbraio 2023, la vittoria di Elly Schlein contro Stefano Bonaccini è arrivata proprio grazie alle primarie aperte – che sono riservate al secondo turno di votazioni – mentre al primo turno vota solo chi ha la tessera del Pd, e lì Bonaccini aveva ottenuto più voti. Se qualcuno lo ha fatto notare, è perché in quella battaglia politica Barbagallo ha appoggiato Schlein, per cui ora al segretario Dem siciliano si attribuisce un’incoerenza rispetto al fatto che sta spingendo per un voto tutto interno.

L’incontro di sabato mattina – un centinaio di esponenti presenti fisicamente, altri 120 in videocollegamento – è stato convocato da Barbagallo proprio per approvare il regolamento per il nuovo congresso, ma nelle prime ore del 2025 un documento ha rotto una pax che nel Partito democratico siciliano durava da più di qualche settimana; un documento firmato da 16 tra deputati europei, nazionali e regionali, con il quale si protestava per le modalità di convocazione dell’assemblea. Le deputate e i deputati regionali, per esempio, nella lettera hanno contestato «la convocazione dell’assemblea a firma del segretario regionale e si evidenzia la nullità della stessa, la sua irregolarità ed irritualità, in quanto contraria alle norme statutarie del partito, considerato che, a norma appunto dello statuto in vigore, l’assemblea non può essere convocata dal segretario regionale». Un altro dei motivi di disaccordo, poi, era relativo al fatto che non era «stata inserita all’ordine del giorno l’elezione del presidente dell’assemblea». Questi elementi hanno provocato una spaccatura nel gruppo parlamentare all’Ars e reso pressoché obbligatoria la presenza della segreteria nazionale del partito all’assemblea di sabato; segreteria nazionale che a Palermo è stata rappresentata da Igor Taruffi, responsabile organizzativo dei Dem. Tra coloro che hanno firmato il documento, all’assemblea palermitana dell’11 gennaio erano presenti Giovanni Burtone, Marco Guerriero, Antonio Rubino, Ersilia Saverino e Tiziano Spada; assenti invece Pietro Bartolo, Felice Calabrò, Michele Catanzaro, Annamaria Furlan (senatrice ligure eletta in Sicilia), Mario Giambona, Calogero Leanza, Giuseppe Lupo, Teresa Piccione, Eleonora Sciortino, Fabio Venezia e Domenico Venuti.

Parafrasando la segretaria nazionale Schlein, aprendo l’assemblea Anthony Barbagallo ha detto che bisogna essere «testardamente unitari» e che le regole del congresso «come nello stile del Partito democratico, dovranno essere ampiamente condivise con la base». Tra le altre cose, il segretario ha lamentato il fatto che sul nuovo Statuto del partito nessuno ha presentato emendamenti, salvo poi – è il ragionamento di Barbagallo – rilasciare alla stampa «proposte diverse, senza che venissero mai formalizzate». Nonostante questo, il segretario del Pd siciliano ha detto di confidare «in un percorso ordinato senza fratture». Ma ci ha pensato Giovanni Burtone – deputato regionale e sindaco di Militello in Val di Catania – a rincarare la dose del famoso documento diffuso qualche giorno prima. «Noi riteniamo che tornare al tesseramento come strumento per scegliere la classe dirigente regionale sia un salto all’indietro – ha detto Burtone – Tornare ossia ai riti del Novecento: voteranno, la prossima volta, i nati nel 2006. La partecipazione alla vita politica diminuisce sempre di più. Non si capisce perché non si vogliano fare le primarie, per altro le primarie ci sono attualmente nello statuto, perché si devono togliere?» Sull’operato di Barbagallo Burtone ha detto: «Abbiamo dato un giudizio non positivo perché, soprattutto negli ultimi appuntamenti elettorali, lo abbiamo visto decidere da solo: questo dovrebbe portare a cambiare squadra». Se consideriamo tutti gli interventi, quello di Burtone è stato senza dubbio il più duro nei confronti di Barbagallo.

A difendere la segreteria regionale del partito è stato un altro deputato regionale: Nello Dipasquale. Oltre a dire la propria sul lavoro del segretario – «noi Barbagallo ce lo siamo trovati sempre accanto, è uno dei pochi segretari regionali a essersi misurato con le primarie della Schlein e ha vinto, bisogna prendere atto che c’è un segretario uscente che va sostenuto» – Dipasquale si è concentrato su quello che secondo lui è stato l’errore più grave: creare una spaccatura nel gruppo parlamentare Dem all’Ars. «Dico a qualcuno: avete sbagliato aprendo una contrapposizione, mettendo le sette firme e sancendo una rottura del gruppo parlamentare, di cui non avevamo bisogno. Il gruppo si è contraddistinto, sin dall’inizio, per l’unione. Aspettare il congresso per fare un documento dove sette deputati firmano contro è stato sbagliato», la sua posizione. Se dovessimo scegliere i due interventi più rappresentativi della giornata – uno per schieramento – sarebbero senza dubbio questi due.

Da segnalare anche gli interventi di Antonello Cracolici e di Peppe Provenzano. Per il primo – che è deputato regionale e presidente della commissione Antimafia all’Ars – «il problema non sono le primarie, ma il partito che vogliamo»; Cracolici ha parlato anche di «amichettismo, che noi imputiamo a destra, ma che viviamo anche noi». Mentre Provenzano – parlamentare nazionale e ministro nel governo Conte 2 – tra le altre cose ha detto: «Non penso che i siciliani si stiano chiedendo se noi eleggeremo o meno il segretario con le primarie o con il voto degli iscritti, ma come intendiamo costruire un’alternativa a Giorgia Meloni». Provenzano ha aggiunto che «prima di essere alternativa bisogna essere opposizione». In un punto del suo intervento l’ex ministro si era anche augurato che non si arrivasse al rinvio dell’assemblea alla settimana successiva – «se oggi vogliamo dare senso a questa giornata dobbiamo uscire di qui facendo due passi in avanti. Quindi niente rinvii: non facciamoci del male, c’è ne siamo fatti fin troppo» – invece è andata proprio al contrario. Secondo molte parti, infatti, il rinvio a tra qualche giorno avrebbe rappresentato l’unico modo per non sancire una rottura definitiva. Dopotutto i rinvii possono servire anche per discutere, per confrontarsi, per riavvicinarsi, per trattare.

Vista l’aria che tirava – oltre alla questione relativa al numero di delegati e di delegate presenti, certo – il rinvio era l’unica via d’uscita, un modo per evitare una frattura che poi sarebbe potuta essere davvero insanabile. «L’assemblea potrà riunirsi la prossima settimana. Bisognerà nel frattempo integrare all’ordine del giorno la nomina del presidente», ha detto Taruffi, toccando anche uno dei punti che nel documento i ribelli Dem hanno contestato al segretario, cioè quello relativo alla nomina del o della presidente dell’assemblea. Tra qualche giorno, quindi, ci si rivedrà per l’approvazione del regolamento per il congresso, ma nel frattempo «il regolamento bisognerà che venga inviato alla Commissione nazionale di garanzia per un preventivo di conformità», ha aggiunto Taruffi. In apertura di assemblea il dirigente nazionale del partito aveva detto che «il commissariamento della fase congressuale è da escludere», così come ha chiarito – secondo il suo punto di vista – che «la presenza della segreteria nazionale qui conferma la regolarità e la trasparenza»; una risposta, questa, alle 16 persone che hanno firmato il documento contro Barbagallo, le quali contestavano la regolarità della convocazione.

Come Dipasquale, anche Taruffi ha condannato il fatto di aver creato una frattura nel gruppo parlamentare all’Ars: «Penso che quando andiamo sul giornale aprendo un dibattito non tra Pd e giunta Schifani, ma tra il gruppo del partito all’Ars diamo un’indicazione sbagliata a chi ci ascolta. Su questo abbiamo sbagliato». In vista della prossima assemblea, però, resta da capire come si comporteranno in questi giorni le varie personalità del partito. Perché ora il pericolo (o l’augurio, ovviamente dipende dai punti di vista) è che il gruppo dei ribelli si spacchi e che per il bene del partito o per il proverbiale amore della pace la frattura con la segreteria regionale si ricomponga, cosa che però ne creerebbe un’altra tra coloro che hanno firmato e condiviso il documento; e la cosa si può intravedere se si confrontano le ultime dichiarazioni dei deputati regionali Mario Giambona e Michele Catanzaro.

Sabato pomeriggio, finita l’assemblea, il primo ha detto che «la posizione espressa oggi da Igor Taruffi è assolutamente condivisa» e che «andare a sportellate non è una linea vincente», mentre domenica mattina il secondo ha parlato di «polemiche strumentali sul gruppo parlamentare del Pd all’Ars» – di cui è capogruppo – di «insinuazioni a mezzo stampa» e ha ribadito che il Pd «anche in Sicilia ha bisogno di aprirsi a tutti coloro che vogliono partecipare sostenendo i nostri valori e le nostre proposte». Insomma Giambona pare più morbido e dialogante, Catanzaro invece resta sulla posizione, eppure il documento contro Barbagallo l’hanno firmato entrambi. Chissà cosa ne penseranno le altre 14 persone firmatarie e cosa succederà da qui alla prossima assemblea.


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