Città metropolitane, per la Consulta serve «riassetto normativo»  La pronuncia arriva dopo il ricorso dell’ex sindaco di Aci Castello

Il sindaco della Città metropolitana – in Sicilia sono tre: Palermo, Catania e Messina – può essere automaticamente il primo cittadino del Comune capoluogo? Gli elettori residenti nel territorio di questi enti hanno un trattamento uguale a quelli che rientrano ancora nell’area di competenza delle Province oggi Liberi consorzi, dove i rappresentanti dovrebbero eleggerli primi cittadini e consiglieri comunali? Sono le domande che hanno portato nei giorni scorsi la Corte costituzionale a pronunciarsi con una sentenza che adesso rischia di causare non pochi scossoni all’ organizzazione amministrativa dell’Isola e non solo. Secondo i giudici della Consulta, l‘attuale disciplina siciliana è in contrasto con il principio di uguaglianza del voto e pregiudica la responsabilità politica del vertice dell’ente nei confronti degli elettori. Sotto la lente d’ingrandimento è finita la riforma degli enti locali, prevista a livello nazionale tramite la legge Delrio varata nel 2014 e le corrispondenti norme della Regione Siciliana. 

Il caso dei presidenti delle Città metropolitane dell’Isola – i sindaci delle tre grandi città Leoluca Orlando, Salvo Pogliese e Cateno De Luca –  è arrivato a Roma attraverso un ricorso presentato dall’ex sindaco di Aci Castello Filippo Maria Drago, rappresentato dall’avvocato etneo Agatino Cariola. Nel testo si chiedeva che la governance dell’ente Città metropolitana di Catania fosse definito tramite elezioni e non in automatico, anche per garantire la responsabilità «nei confronti di tutti gli elettori», anche coloro i quali non vivono nel capoluogo e quindi si ritroverebbero un super-sindaco provinciale mai scelto da loro e di fatto calato dall’alto. Un intervento di «sistema» che dovrebbe spettare al Parlamento, motivo per cui i giudici costituzionali – come già aveva fatto il tribunale di Catania in primo grado – hanno dichiarato «inammissibile il ricorso» di Drago. Mettendo però nero su bianco di non potersi esimere «dall’osservare come il sistema attualmente previsto per la designazione del sindaco metropolitano non sia in sintonia con le coordinate ricavabili dal testo costituzionale». 

Gli sviluppi di questa vicenda sono passati per la posizione del Consiglio dei ministri e della stessa Regione, tramite l’avvocatura dello Stato rappresentata dall’avvocata Gianna Galluzzo. Per i due enti le questioni sollevate da Drago erano da considerare infondate anche sulla base di un vecchio pronunciamento della stessa Consulta, secondo cui la scelta automatica del sindaco metropolitano come capo del nuovo ente fosse «un adeguato bilanciamento tra l’interesse alla semplificazione e al risparmio dei costi, perseguito dal legislatore nazionale» proprio con l’introduzione delle Città metropolitane al posto delle vecchie Province. I giudici, però, sottolineano come nel frattempo sia mancato il passaggio di base: «La mancata abolizione delle Province, a seguito del fallimento del referendum costituzionale del 2016, ha reso del tutto ingiustificato il trattamento attualmente riservato agli elettori residenti nella Città metropolitana».

La conseguente operatività delle Province – oggi Liberi consorzi – con funzioni fondamentali e non di mero coordinamento – devolute attualmente anche alle Città metropolitane – per i giudici «rende pertanto urgente un riassetto degli organi di queste ultime – si legge nella sentenza – Ciò anche perché il territorio delle prime è stato fatto coincidere con quello delle seconde, senza quindi differenziare le comunità di riferimento secondo opportuni criteri di efficienza e funzionalità, ciò che invece sarebbe necessario, ai sensi della Costituzione, per far sì che le Città metropolitane e le Province siano in grado di curare al meglio gli interessi emergenti dai loro territori». Cosa succederà adesso alle Città metropolitane? A stabilirlo potrà essere sia il legislatore statale che quello regionale, orientandosi anche su un modello. è questa una delle possibilità, che preveda l’elezione tramite il voto di sindaci e consigli comunali. Di certo c’è che il sistema andrà cambiato con una sentenza destinata a fare la storia. 


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