Il parà siracusano in servizio di leva è stato trovato morto all'interno della caserma Gamerra di Pisa nell'agosto del 1999. Inizialmente archiviato come suicidio, il caso viene riaperto dalla procura dopo la relazione della commissione parlamentare
Scieri, è il giorno della sentenza del processo per omicidio «Portiamo con noi il dolore e la speranza di questi 22 anni»
«Saremo ad attendere davanti al palazzo di giustizia di Pisa con addosso il peso di questi
22 lunghi anni». Oggi è il giorno della prima sentenza del processo per l’omicidio volontario aggravato del parà siracusano Emanuele Scieri, avvenuto nell’agosto del 1999 nella caserma Gamerra di Pisa. Davanti al tribunale ci saranno anche gli amici dell’associazione Giustizia per Lele che non è stata ammessa come parte civile al processo. «La prima cosa che ho messo nello zaino – racconta a MeridioNews Carlo Garozzo, amico di Emanuele e presidente dell’associazione nata 15 giorni dopo la morte del parà – è lo striscione che ci ha accompagnati sempre, dalle piazze alle scuole, dall’audizione in commissione al tribunale». Un ritaglio bianco di stoffa con la scritta in maiuscolo blu e rossa Giustizia per Lele. «È stato un nostro compagno di viaggio, sporco dell’immenso sacrificio combattuto nel nome di Emanuele, rigido per il dolore che racchiude ma sempre colorato per il grande desiderio di verità e giustizia che porta con sé».
Sarà il giudice per l’udienza preliminare
Pietro Murano a dovere prendere una doppia decisione. Da una parte, sulle richieste di condanna per i tre imputati che hanno scelto il rito abbreviato: l’ex caporale 42enne Andrea Antico, uno dei tre commilitoni accusati di omicidio volontario aggravato. Originario di Casarano (in provincia di Lecce), è consigliere comunale in un piccolo comune del Riminese ed è ancora in servizio nell’esercito; l’ex comandante della Folgore Enrico Celentano e l’allora aiutante maggiore Salvatore Romondia che sono entrambi accusati di favoreggiamento. Dall’altra parte, la decisione riguarda il rinvio a giudizio per gli altri due ex caporali imputati per omicidio che hanno scelto il rito ordinario: il 42enne Alessandro Panella – che quando è stato arrestato aveva già fatto un biglietto di sola andata Roma-Chicago – e Luigi Zabara che è anche l’autore del libro Coscienza di piombo, nel quale viene affrontato il tema del rimorso. «I protagonisti commetteranno degli errori irreversibili. Come si può continuare a vivere la propria vita in maniera normale – si chiede l’autore – dopo aver commesso il più tremendo degli sbagli?».
«A prescindere da come andrà la sentenza, adesso è chiaro a tutti che Emanuele è stato ammazzato e noi porteremo sempre con noi una certezza – afferma Garozzo – siamo i giusti che lottano per un mondo giusto fatto di valori e principi». Quello per cui oggi si attende una prima sentenza è un processo a cui si arriva a più di vent’anni dalla morte del paracadutista in servizio di leva. È il settembre del 2017 quando la procura di Pisa riapre le indagini dopo la relazione della commissione parlamentare d’inchiesta nata per fare luce sul caso. La procura generale militare della corte d’appello di Roma chiede all’autorità giudiziaria di Pisa il trasferimento dell’indagine. Per un periodo i due procedimenti vanno avanti parallelamente, poi è la Corte di Cassazione a risolvere il conflitto di giurisdizione a favore del tribunale ordinario. Questo perché il nonnismo non è solo un fatto militare, anche se gli atti avvengono all’interno di una caserma. Inoltre, tra gli ex caporali e la vittima non c’era «nessun rapporto gerarchico-disciplinare». Inoltre, al momento dei fatti gli autori non erano in servizio e non indossavano nemmeno la divisa, anche Scieri era in abiti civili perché si trovava in libera uscita.
Secondo la ricostruzione della procura militare, i tre incontrano Scieri mentre
stava per fare una telefonata con il suo cellulare, poco prima di rientrare in camerata. Per punizione e «abusando della loro autorità», lo costringono a «effettuare subito numerose flessioni sulle braccia». Nell’avviso di conclusione delle indagini si legge che «mentre eseguiva le flessioni, lo colpivano con pugni sulla schiena e gli comprimevano le dita delle mani con gli anfibi, per poi costringerlo ad arrampicarsi sulla scala di sicurezza della torre di prosciugamento dei paracadute, dalla parte esterna, con le scarpe slacciate e con la sola forza delle braccia». Sulle scale, Scieri sarebbe stato seguito dal caporale Panella che, per fargli perdere la presa, «lo percuoteva dall’interno della scala e, mentre il commilitone cercava di poggiare il piede su uno degli anelli di salita, gli sferrava violentemente un colpo al dorso del piede sinistro; così Scieri perdeva la presa e precipitava al suolo da un’altezza non inferiore a cinque metri, riportando lesioni gravissime». Dopo la caduta Scieri sarebbe stato lasciato a terra agonizzante. Solo tre giorni dopo, il suo cadavere verrà ritrovato in una posizione anomala.