In Gioventù bruciata il protagonista era ben più grande di Antonella, la piccola morta a Palermo. «Nessuna provocazione adolescenziale, è curiosità infantile», stimolata dai social che oggi arrivano anche ai più piccoli, spiega Giovanni Rapisarda
La challenge mortale su TikTok: l’analisi del neuropsichiatra «Le sfide ci sono da sempre, ma ora sono giochi per bimbi»
«Curiosità infantile, prova delle capacità di cimentarsi in qualcosa per vedere fino a che punto si riesce ad arrivare. Niente a che vedere con le provocazioni adolescenziali, ma semplicemente il meccanismo del gioco che si attiva nei bambini». Così Giovanni Rapisarda, dirigente medico di Neuropsichiatria infantile dell’Asp di Catania, analizza la sfida social finita in tragedia per Antonella. La bambina di dieci anni che è morta ieri all’ospedale Di Cristina di Palermo dopo avere partecipato a una gara di soffocamento su TikTok. «Non si tratta di delirio di onnipotenza adolescenziale, quanto piuttosto del fatto che a quell’età i concetti di pericolo e di morte sono ancora molto sottovalutati», spiega Rapisarda a MeridioNews. Un rischio sottostimato probabilmente anche a causa dell’emulazione: altri video simili che la bambina ha potuto vedere sui social finiscono bene. «Anche lei avrà pensato che sarebbe stata in grado di fermarsi per tempo», aggiunge il medico escludendo che ci fosse una volontà di togliersi la vita.
È mercoledì sera quando nella sua casa di via Schiavuzzo, nel quartiere popolare della Kalsa in pieno centro storico a Palermo, Antonella va in bagno. Ai genitori dice di volere fare una doccia ma porta con sé il suo cellulare. Da quando lo ha ricevuto come regalo per la prima comunione, non se ne separa mai. Figlia di un muratore a giornata e di una casalinga incinta della quarta figlia, lei era la più grande di tre sorelle. A spiegare ai genitori cosa fosse accaduto, dietro la porta – lasciata socchiusa – di quel bagno, è stata la sorella di nove anni: «Stava facendo il gioco dell’asfissia». Dai balli alle canzoni, dagli abiti da indossare ispirandosi a personaggi famosi agli accessori vintage da sfoggiare. Lanciate spesso da influencer di spicco, le challenge sono una componente fondamentale di TikTok. Fino alla deriva di sfide pericolose come la Black out challenge, la gara in cui i partecipanti per vincere devono rimanere senza respiro il più possibile.
«Le sfide rischiose sono sempre esistite – fa notare Rapisarda – come ci ricorda la scena clou di Gioventù bruciata». Il film del 1955 in cui James Dean, nei panni di un adolescente tormentato, partecipa a una gara di auto che corrono verso una scogliera e in cui a vincere è l’ultimo che salta fuori. «La differenza che rende le social challenge più pericolose – analizza lo specialista – è che si svolgono su mezzi alla facile portata dei più giovani, semplici da utilizzare, accessibili anche nel chiuso di una stanza, di veloce diffusione e difficile controllo anche da parte della piattaforma che le ospita». Nella nota che TikTok ha diffuso tramite un portavoce, oltre alle condoglianze alla famiglia «davanti al tragico evento», i responsabili sostengono che «la sicurezza della community è la nostra priorità assoluta». Eppure una bambina di dieci anni è morta. A ricostruire la dinamica saranno, adesso, le due inchieste per istigazione al suicidio aperte dalle procure (dei minori e ordinaria) di Palermo.
Una tragedia iniziata come un gioco, almeno per chi vi ha partecipato. «Un discorso diverso va fatto, invece, per chi questa sfida l’ha lanciata – analizza Rapisarda – Incoscienti che si dilettano a misurarsi con queste attività estreme e, soprattutto, con il coinvolgimento di altri. Al di là dell’età anagrafica – aggiunge – ragionano solo tramite funzionamenti primitivi e infantili che sono pericolosi per loro stessi e per gli altri». In ogni caso, tenere i giovanissimi fuori dai social, al giorno d’oggi, è quantomeno difficile. «La soluzione è che gli adulti si assumano la responsabilità di essere presenti e vigili specie per affrontare i periodi di transizione in cui può diventare più complicato districarsi nel mondo virtuale tanto quanto in quello reale». Nei casi in cui poi si dovessero cogliere segni di difficoltà o di qualche disagio, l’appello di Rapisarda è «di rivolgersi a professionisti qualificati per chiedere aiuto».