Che cosa sarebbe stato del clan senza Pippo Nicotra? «Il suo sostegno economico era fondamentale per noi»

Che ne sarebbe stato della carriera politica di Pippo Nicotra senza Cosa nostra? Insinuatasi in punta di piedi in seguito all’arresto dell’ex deputato regionale a ottobre 2018, la domanda negli ultimi due anni si è fatta via via più pressante cristallizzandosi nel processo che, in piena emergenza Covid-19, ha portato alla condanna in primo grado a sette anni e quattro mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Pena che, se Nicotra non avesse scelto il rito abbreviato, sarebbe stata di undici anni. Nelle oltre cinquecento pagine in cui la gup Anna Maria Cristaldi ha raccolto le motivazioni del primo atto del processo Aquilia, la risposta si forma pezzo dopo pezzo, tra dichiarazioni di collaboratori di giustizia e intercettazioni, che attraversano gli oltre quindici anni trascorsi da Nicotra nei panni di onorevole. Dal nuovo Psi all’Mpa, dal Pdl all’Udc, fino all’esperienza in Articolo 4 in cui sono cresciute le nuove leve renziane. Ma guardando ai tre decenni in cui l’imprenditore è stato sulla scena pubblica – era il 1993 quando fu sindaco per la prima volta di Aci Catena, un’esperienza di tre mesi conclusasi con lo scioglimento per mafia – un’altra domanda trova spazio: cosa sarebbe stato dei santapaoliani catenoti se non ci fosse stato Nicotra?

«Senza l’appoggio economico che ci ha garantito negli anni, il mio gruppo criminale rischia seriamente di sfaldarsi del tutto». La risposta la dà Mario Vinciguerra, il teste chiave del processo. Tra non molto cinquantenne, è stato per lungo tempo reggente dei Santapaola nella città del limone verdello. Un ruolo assunto a inizio anni Duemila, dopo essere entrato nella famiglia a fine anni Ottanta per volere del boss Nuccio Coscia. Vinciguerra, cinque anni fa, ha deciso di iniziare a collaborare con i magistrati. Una scelta che, quasi in presa diretta, ad Aci Catena e dintorni iniziò a fare tremare molti. «Nicotra è per noi decisivo perché consente di pagare con regolarità gli stipendi, elemento fondamentale per tenere coeso il clan», ha rivelato. Una prima prova della disponibilità di Nicotra a foraggiare il clan, Vinciguerra l’avrebbe avuta poco prima del Natale 2001. Scarcerato da pochi giorni e trovatosi con la responsabilità di prendere in mano le redini del gruppo criminale, si presentò dall’imprenditore chiedendo dei soldi. «Aveva chiesto una somma iniziale per favorire il clan – ricostruisce la giudice -. Lui gli aveva dato appuntamento per il giorno successivo nel suo ufficio, dentro al supermercato di sua proprietà, e gli aveva consegnato tremila euro. A Vinciguerra erano sembrati pochi, ma lo stesso Nicotra aveva detto che dopo ne avrebbe avuti altri».

La parola sarebbe stata abbondantemente mantenuta. Nicotra avrebbe pagato ogni anno 10mila euro, poi divenuti 15mila, quantomeno dal 2001 al 2014. Soldi che i Santapaola avrebbero utilizzato per sostenere le famiglie dei detenuti e consolidare la propria forza economica, al punto da investire 180mila europarte dei quali scambiata in banconote da cinquecento euro proprio tramite le casse dei supermercati di Nicotra – per comprare una partita di cocaina dai narcos colombiani. L’ex deputato avrebbe inoltre garantito posti di lavoro a persone indicate dal clan ma anche dato la propria disponibilità, nelle vesti di politico, di favorire gli interessi personali dei Santapaola: il pentito ed ex killer di Cosa nostra Santo La Causa incontrò Nicotra nel retro di uno dei suoi supermercati per chiedergli un impegno sul cambio di destinazione d’uso di cui voleva appropriarsi. Ai magistrati La Causa, all’epoca latitante, ha detto di non avere avuto timore di recarsi da Nicotra, perché aveva avuto rassicurazioni sul fatto che l’onorevole era una persona fidata. «In mano a loro», ha aggiunto, intendendo i Santapaola catenoti. «Nicotra, deputato della Regione Siciliana, non aveva ritenuto di denunciare il fatto che un capomafia, un latitante, in quegli anni tra i più ricercati, si fosse recato da lui per incontrarlo», scrive la giudice.

Su cosa ci abbia guadagnato in cambio, procura e gup sono concordi: innanzitutto voti. Nonostante questo Nicotra, che è stato condannato oltre che per concorso esterno anche per tentata estorsione, è stato assolto dall’accusa di scambio di voti politico-mafioso per le Regionali 2012, per la mancanza di riferimenti concreti alla dazione di denaro da parte dei collaboratori di giustizia, mentre per le tornate precedenti il reato era già prescritto e l’accusa non ha chiesto la condanna. Ciò non toglie che i rilievi a carico dell’ex deputato regionale sono tantissimi. Nicotra, per ogni tornata, avrebbe sborsato decine di migliaia di voti mettendoli in mano ai Santapaola. Per massimizzare il risultato Nicotra avrebbe pagato anche il clan Laudani, comprando importanti forniture di carne per i propri supermercati. Di tutti questi soldi, le cosche ne avrebbero usato una parte per convogliare il consenso verso il politico e le persone a lui vicine. Nella sentenza, in tal senso, compaiono diverse persone attive, direttamente e non, sulla scena politica locale.

Tra queste Francesco Petralia, per anni delfino di Nicotra e oggi consigliere d’opposizione, dopo essere stato anche candidato a sindaco. Secondo Vinciguerra, l’imprenditore nel 2012 – anno in cui si sono svolte sia le Comunali ad Aci Catena che le Regionali – avrebbe dato al clan una cifra superiore ai 40mila euro per comprare voti anche per Petralia. Quest’ultimo sarebbe stato consapevole dell’investimento. Tuttavia, in merito a questa specifica compravendita, Vinciguerra è l’unico collaboratore di giustizia ad avere riferito ai magistrati. Un mancato riscontro che ha portato l’anno scorso all’archiviazione dell’indagine aperta nei confronti dell’attuale consigliere.

Riceviamo e pubblichiamo dagli avvocati Giovanni Grasso e Orazio Consolo:

La sentenza emessa a carico dell’on. Nicotra si fonda in larga parte sulle dichiarazioni del collaborante Gaetano Mario Vinciguerra, nonostante questa difesa abbia ampiamente dimostrato, documenti alla mano, l’inattendibilità e falsità delle sue dichiarazioni, come provano le numerose e puntuali smentite che dette dichiarazioni hanno ricevuto in relazione a tanti fatti specifici riferiti dal predetto Vinciguerra.

Inoltre, lungo tutto il processo di primo grado, è stato ampiamente dimostrato che l’on. Nicotra, lungi dall’essere in rapporto paritario con il clan, è stato per decenni sottoposto ad estorsione come acclarato in numerosi provvedimenti irrevocabili dell’Autorità Giudiziaria, i quali sono stati del tutto ignorati dal G.u.p. Ed in effetti, la natura estorsiva del rapporto tra Nicotra ed il clan è provata anche dall’episodio dell’incontro che lo stesso ha avuto con Santo La Causa, dato che è stato lo stesso collaborante a riferire di aver chiesto in questa circostanza una importante somma di denaro proprio a titolo di estorsione, come la stessa sentenza ha riconosciuto.

Anche con riguardo alle presunte assunzioni che il Nicotra avrebbe effettuato per favorire il clan, questa difesa ha prodotto un’imponente mole di atti e testimonianze da cui risulta l’infondatezza dell’assunto accusatorio. Tuttavia, così come avvenuto anche per altri profili della contestazione, il G.u.p. ha ignorato buona parte delle argomentazioni della difesa.Per questi motivi, questa difesa è certa che il successivo grado di giudizio consentirà di dimostrare l’insussistenza di tutti i reati contestati all’on. Nicotra e di riparare al grave errore giudiziario commesso.


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