Coronavirus, i consigli della psicoterapeuta #5 Fase 2: tornare alle relazioni alla giusta distanza

Il Covid-19 è entrato nella nostra vita a gamba tesa, in modo tanto prepotente e fulmineo da costringerci a modificare drasticamente i nostri stili di vita e riordinarne la quotidianità.

Avendo dovuto affrontare l’isolamento (con il conseguente emergere di paure, ansie, rabbia impotenza e sensi di colpa) ci siamo ritrovati a tu per tu con la nostra resilienza, la capacità di fronteggiare accadimenti traumatici in modo positivo, riorganizzando la nostra vita per uscirne vincenti. Non sempre le cose sono andate così lisce per tutti.

Re-iniziare dopo, e con, il coronavirus
Dobbiamo ripartire imparando a coesistere con una presenza invisibile, opprimente e costante, succubi e inermi rispetto ai cambiamenti che ciò ha comportato. Dobbiamo nuovamente adattarci, questa volta non all’isolamento ma alla convivenza con il virus, il che ci obbliga a mettere in campo una grande flessibilità.

Palcoscenico di nuove emozioni nella fase 2
La fase della ripresa potrebbe rappresentare l’humus per emozioni costruttive, quali voglia ed entusiasmo per la riapertura ma, al contempo, preoccupazione nei confronti del nemico evergreen, che talvolta va a braccetto con l’ansia per la sola idea di un allentamento delle restrizioni, da alcuni percepite come troppo precoci.

Queste varie, e talvolta ambivalenti, emozioni necessitano di essere riconosciute e accolte piuttosto che considerate come qualcosa di cui sbarazzarsi; è proficuo tenerle lì, né troppo vicine a noi rischiando di venirne travolti e sopraffatti, né troppo lontane, finendo per negarle.

Sintonizzarsi sulle proprie risonanze emotive rappresenta una strategia vincente; è importante entrare in contatto con esse, anche con quelle più spiacevoli senza esiliarle, riconoscendo che se in un determinato momento della giornata si sta avvertendo quella emozione specifica è per un motivo ben preciso.

Socialità e distanza
Un sentimento comune è la paura di stare con gli altri, tra la gente e con la gente, la paura di uscire e di dover interagire. In aggiunta al timore per il virus, ancora presente, c’è una sorta di ansia da prestazione rispetto alle relazioni interrotte da riagganciare. Sembra quasi che ci siamo dimenticati del piacere di stare con gli altri e della bellezza del socializzare. Ciò che precedentemente era considerato un valore aggiunto, oggi arriva anche a rappresentare una minaccia ulteriore.

«Mi stava piacendo stare a casa, concentrarmi sui miei hobby, avere più tempo per me, poter fare tutto con calma»: questa frase mi è stata ripetuta più volte dai miei pazienti (in forme similari). Può essere utile mantenere le buone abitudini intraprese durante il lockdown concedendosi del tempo da dedicare ad attività gratificanti come ad esempio cucinare, leggere un libro, attuare delle migliorie in casa, fare attività fisica, dedicarsi alla cura del proprio corpo. Essendo entrati più in contatto con noi stessi siamo riusciti, verosimilmente, a tollerare più facilmente l’assenza degli altri arrivando a percepirne in modo più massiccio la presenza all’interno della nostra testa, nel nostro mondo interno. In questo periodo, per molti, è come se fosse più confortevole rimanere in contatto sia senza toccarsi che senza vedersi, solo con il pensiero e con il cuore.

Contagio: tale termine rinvia al verbo latino tangere (toccare) e si riferisce all’entrare in contatto. Nei rapporti con gli altri siamo costantemente alla ricerca di distanze congrue che risultino andare bene per entrambi. Reputo calzante la similitudine con il dilemma di Schopenhauer che ci propone l’immagine di alcuni porcospini che, avvicinandosi per scaldarsi, finiscono col farsi del male.

«Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripete quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione». (Arthur Schopenhauer)

Questa metafora ci ripropone il tema dei continui aggiustamenti di distanza. Ci muoviamo verso gli altri per poi ritornare a noi. Stare vicino agli altri ci serve per sentire calore e per proteggerci vicendevolmente ma implica il pericolo di essere contagiati; infatti proprio quando la vicinanza con gli altri si riduce sensibilmente ci si espone al rischio. Al contrario stando distanti dagli altri ci proteggiamo dal pericolo del contagio ma ci isoliamo, restando da soli, riducendo le nostre risorse per sopperire al freddo e alla solitudine.

Il nostro dilemma attuale è, dunque, il seguente: qual è la giusta distanza da mantenere ora nelle nostre relazioni per garantirci il tepore di cui abbiamo bisogno e, allo stesso tempo, evitare il rischio di essere contagiati?

Ricordandoci che la relazionalità è un imperativo biologico, le nostre scelte finali devono, comunque, garantirci l’irrinunciabile interconnessione sociale.

Dott.ssa Antonietta Germanotta
Psicologa e psicoterapeuta familiare – Psicotraumatologa EMDR
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