A parlare di un accordo tra i boss di Cosa nostra, intimoriti dai possibili esiti del maxiprocesso, e le 'ndrine calabresi è stato anche il pentito etneo Maurizio Avola. Prossimamente verrà effettuata una perizia tecnica sull'arma rinvenuta in un terreno in campagna
Omicidio Scopelliti pianificato in un summit a Trapani L’estate scorsa venne ritrovato un fucile nel Catanese
L’omicidio di Antonio Scopelliti, il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione che avrebbe dovuto sostenere l’accusa nel terzo grado del maxiprocesso ucciso in un agguato il 9 agosto 1991, sarebbe stato deciso nell’ambito di un summit svoltosi a Trapani in quella primavera. L’incontro sarebbe stato voluto da Matteo Messina Denaro, il boss latitante di Castelvetrano che risulta tra i 17 indagati dell’inchiesta della procura distrettuale di Reggio Calabria.
La tesi di un’alleanza tra ‘ndrine calabresi e Cosa nostra, volta a favorire gli interessi dei boss siciliani intimoriti dai possibili esiti del maxiprocesso, è stata sostenuta da più collaboratori di giustizia. Tra loro il catanese Maurizio Avola e il calabrese Francesco Onorato. D’altra parte i vertici del tempo di Cosa nostra – Bernanrdo Provenzano, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Nitto Santapaola e i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano – furono processati per essere stati coinvolti nel delitto, venendo però assolti.
La vicenda Scopelliti è tornata al centro della cronaca l’anno scorso, dopo che in un terreno del Catanese è stato ritrovato un fucile a canne mozze che, per gli inquirenti, potrebbe essere quello usato a Villa San Giovanni, mentre il magistrato faceva ritorno nella località dove trascorreva le vacanze. A tutti gli indagati – a eccezione di Messina Denaro, in quanto latitante, è stato notificato un avviso di garanzia, per l’esigenza di svolgere una perizia tecnica sul fucile. Nel terreno, oltre all’arma e alle cartucce Fiocchi, furono ritrovati anche un borsone blu e due buste.