Musumeci tra bilanci, promesse e nodi irrisolti «Il peggio è passato, per il 2019 ho 4 obiettivi»

Gli auguri di fine anno ai nostri lettori, ma anche l’occasione per fare il punto su quanto fatto in questo primo anno di governo, dalla spesa comunitaria, alle infrastrutture, dall’abusivismo ai rifiuti, fino ai rapporti a volte conflittuali con l’Assemblea Regionale. Con l’obiettivo di una Sicilia che «deve tornare – dice il governatore
Nello Musumeci – ad essere normale».  

Presidente Musumeci, iniziamo dalla fine: la Regione Siciliana è riuscita a certificare all’Europa 713 milioni di euro di spese.
«Fino alla vigilia, con un eccesso di prudenza, avevamo il dubbio che si potesse arrivare a raggiungere un target che sembrava impossibile quando siamo arrivati al governo e abbiamo trovato una spesa certificata di appena 6 milioni. L’Europa ci ha detto che al 31 dicembre avremmo dovuto certificare 674 milioni di spesa comunitaria. Quando gli uffici mi hanno comunicato che la certificazione era arrivata a 713 milioni, naturalmente sono saltato dalla sedia, è stata una grande soddisfazione. Si tratta di una spesa già effettuata, di risorse già erogate, che determineranno una innegabile ricaduta sul territorio. È stata una bella mobilitazione, nella stragrande maggioranza dell’apparato burocratico si avverte un sentimento di rivincita, per una Regione che deve tornare a essere normale».

Oltre alle infrastrutture che da sole valgono oltre la metà di questi 713 milioni di euro, cos’altro c’è? In parte si tratta di risorse programmate dal precedente governo regionale. 
«Sono opere infrastrutturali sulle quali abbiamo esercitato una pressione enorme, perché Anas e Rfi hanno insieme in Sicilia oltre 3 miliardi di euro, ma i cantieri tardano a chiudere e questo per noi è un problema molto serio. Non a caso siamo stati spesso critici. Ci sono fondi per le attività produttive, per l’efficientamento energetico, ci sono fondi per la pesca, per i rifiuti e per l’ambiente. Al di là della programmazione decisa dal precedente governo, che però aveva lasciato tutto immobile, ci sono i settori principali sui quali si sostiene l’impianto del mio governo, cioè di una Regione che faccia leva sulla materia prima: agricoltura di qualità, beni culturali, turismo, ambiente pulito, tutela del territorio e interventi finalizzati a dare un’idea di sviluppo sano e compatibile con questa terra. La riconversione del polo industriale di Gela è soltanto l’inizio di un modello che deve essere seguito tanto a Milazzo, quanto nel Siracusano».

A proposito di Gela, che da tempo aspetta una riconversione rimasta a lungo lettera morta, quali elementi seri di novità può dare oggi?
«Intanto la riconversione è stata sottoscritta ed è partita cinque mesi fa, grazie anche al contributo di dieci milioni del mio governo e 15 milioni da parte del Mise. Prima questi soldi non c’erano. Adesso si aspettano interventi anche da parte dei privati. Un impulso arriverà anche dalla Zes, la zona economica speciale. Le Zes non sono ancora partite perché manca il decreto attuativo del governo nazionale, ma noi siamo già pronti. Quando partiranno, zone come Gela ma anche altre subiranno un impulso positivo. Ma non è solo il modello industriale al quale dobbiamo puntare: Gela è tornata a essere un grande giacimento archeologico, mai valorizzato. Segno evidente che quella città può puntare su un turismo culturale di qualità. Non è un caso che proprio nel 2019 vogliamo realizzare a Gela un Museo delle Navi Antiche, perché poi i musei non sono soltanto a terra. Se questo viene fatto anche ad Acireale, o a Milazzo, io credo che la Sicilia non sarà più la terra del più grande petrolchimico d’Europa, ma sarà una terra a vocazione turistica. Noi non siamo nemici dei petrolieri, ma non siamo neanche iscritti sul loro libro paga. Quindi o loro si adeguano alla nuova economia compatibile, oppure in noi non avranno un interlocutore attento e disponibile».

Cosa è cambiato in questo primo anno targato Nello Musumeci?
«Il Pil cresce. Questo è il primo dato che si coglie dall’osservatorio statistico regionale. La Sicilia cresce con la stessa media delle altre regioni del Sud. E rispetto alla media nazionale siamo 4 decimi sotto. È una inversione di tendenza, rispetto al 2016 e al 2017. Ho il dovere di pensare che non sia tutto merito del governo regionale. Ma ho anche il diritto di credere che quando un governo mette sul territorio oltre 3 miliardi di euro in un anno, inevitabilmente si determina una boccata d’ossigeno per imprese ed enti locali. I cui effetti devono ancora vedersi. Il peggio io credo che sia già passato. Adesso abbiamo bisogno di lavorare sugli obiettivi che ci siamo già dati: tutela del territorio, infrastruttura viaria e scolastica, recupero dei centri storici minori per bloccare il processo di desertificazione e di abbandono di vaste aree della nostra Isola. Al fianco di tutto questo, c’è l’idea di una Regione che non chiede più elemosine, che non persegue più l’assistenzialismo, ma che cresce nella reputazione perché mette l’impresa al centro di ogni processo».

A proposito di infrastruttura viaria, cosa sta frenando la fusione tra Cas (Consorzio Autostrade Siciliane) e Anas? Ne siete ancora convinti?
«Per noi è un obiettivo, mettiamo insieme competenze e risorse per omogeneizzare la gestione delle autostrade in Sicilia. Abbiamo bisogno di capire il Cas quanto vale oggi e abbiamo nominato un tecnico, un docente dell’Università di Messina, che a febbraio ci consegnerà il suo studio. A quel punto apriremo un tavolo con Anas per capire quello che serve fare. Intanto il Cas, che era stato un carrozzone, ha aperto alcune gallerie, ne ha illuminate altre… è tornato a essere quello che doveva essere».

Superstrada Catania-Ragusa: ci sono margini per ridurre il pedaggio ipotizzato di 10 euro per la tratta? Considerato che la Regione si impegna a investire anche 4 milioni all’anno per il pedaggio, non rischia di essere un regalo eccessivo ai privati che la gestiranno?
«La Regione Siciliana metterà in campo oltre 360 milioni di euro per la realizzazione di questa infrastruttura, l’altra parte la farà lo Stato e il privato. Abbiamo detto che siamo disposti a pagare, per abbassare la quota che dovrà pagare l’automobilista per il pedaggio, a impegnare tra i 4 e i 5 milioni di euro l’anno. In questo momento è importante aprire il cantiere e realizzare l’opera. Poi se il Ragusano torna a essere quella fucina fertile di attività produttive e agroalimentari, se l’aeroporto di Comiso riuscirà a decollare, io credo che anche un pedaggio di due o tre euro in più sarà ben accetto».

Sul fronte della continuità territoriale, invece?
«Consentirebbe allo Stato e alla Regione di poter chiedere e ottenere le tariffe sociali. In Sicilia il trasporto aereo è una necessità. Ecco perché vogliamo chiedere a Bruxelles che la continuità territoriale possa consentire ai siciliani di viaggiare, di andare a Malpensa, Linate o Fiumicino senza dovere pagare tariffe a volte anche di mezzo stipendio per un impiegato».

Il modello da seguire è l’accordo che la Sardegna ha fatto con Roma? Ci teniamo alcune tasse e con quelle ci paghiamo anche le rotte sociali?
«La Sardegna non ha ottenuto tutto quello che chiedeva. Come punto di partenza, il modello Sardegna può andare. Ma deve essere chiaro che il traffico aereo da un’Isola non può essere considerato un lusso, perché invece è un’esigenza. I nostri aeroporti sono quasi al collasso per traffico di passeggeri, perché ovviamente quando sono stati progettati, simili flussi erano impensabili».

Qui torna il suo progetto di un grande aeroporto al centro della Sicilia.
«Ma quello è il sogno di ogni siciliano dotato di buonsenso. Serve un grande aeroporto intercontinentale. E dove per non fare torto a nessuno? Al centro della Sicilia. Io penso ad un unico sistema aeroportuale siciliano. Abbiamo sei aeroporti e sei società di gestione. Una cosa di queste farebbe ridere chiunque. Non è un’idea folle se penso, intanto, a una società per la Sicilia occidentale e una per la Sicilia orientale».

Parliamo di rifiuti, uno dei grandi temi che hanno accompagnato il suo primo anno da governatore. Cosa è cambiato?
«A dicembre 2017 la differenziata era al 21 per cento, mentre si immaginava di mandare i rifiuti fuori dalla Sicilia, che non era dotata né di un piano regionale per i rifiuti né di una legge di riforma del sistema. È passato un anno, la differenziata è al 37 per cento, non abbiamo mandato all’estero neanche un chilo di spazzatura, c’è un piano regionale dei rifiuti e una nuova legge che mette ordine a un sistema che la magistratura contabile ha definito irrealizzabile e che aveva creato soltanto assunzioni senza concorso e 1,8 miliardi di debiti».

La Oikos vuole realizzare una mega discarica a Centuripe che è in contrapposizione alle sue direttive secondo cui ogni provincia deve avere i suoi impianti. Avete intenzione di fermarla?
«Non mi posso esprimere su un’iniziativa della quale, formalmente, non abbiamo alcuna notizia».

Inceneritori. Favorevole o contrario?
«Il piano regionale dei rifiuti individua in ogni provincia, dove nasce e muore il ciclo dei rifiuti, di quanti impianti ha bisogno quell’area. Il governo regionale non ha pregiudizi nei confronti dei termovalorizzatori e non ha pregiudizi nei confronti degli altri sistemi, ma è competenza dei Comuni, costituiti in Ambiti territoriali».

A proposito di «responsabilità dei Comuni», torna in mente il tema dell’abusivismo. I sindaci vi chiedono di non essere loro a chiamare le ruspe. Cosa rispondete?
«Non è un problema politico, è un problema di responsabilità. La legge dice che il compito di accertare la casa abusiva spetta al sindaco. Una volta accertato che quell’abusivismo non è sanabile, il primo cittadino ha due possibilità: o incamera quella casa e la fa diventare demanio pubblico, oppure se è particolarmente pericolosa, deve disporne la demolizione. Non è un problema di facoltà tra Musumeci e i sindaci, è un obbligo in capo ai sindaci. La legge dice che se il sindaco non interviene, può farlo la Regione. Noi vogliamo evitare di arrivare a un potere sostitutivo, che determinerebbe la decadenza del sindaco. L’Anci sostiene che per quanto riguarda l’ordine di demolizione, nei grandi centri lo stanno facendo, nei piccoli centri diventa problematico. Lì dobbiamo cambiare la legge, non è discrezione del governo. E allora dobbiamo portare avanti un lavoro frutto del confronto tra governo regionale e Comuni».

Tanti buoni propositi da parte del governo, che però deve fare i conti con l’Assemblea. Dove c’è una coalizione che non è maggioranza e il rapporto con le opposizioni non è idilliaca.
«Facciamo due mestieri diversi, governo e Assemblea, che convergono in un solo obiettivo: lavorare nell’interesse della gente. Io faccio appello dal primo giorno alle opposizioni, affinché possiamo confrontarci sulle cose importanti da fare».

Il Movimento 5 Stelle le ha proposto un mini contratto.
«Ma certo, facciamolo. Uno, due, tre, facciamone. Ma allegato al contratto che abbiamo fatto con gli elettori siciliani. Nessuno può chiedermi di tradire la fiducia che ho ricevuto da quasi un milione di siciliani. Il contratto io l’ho fatto il 5 novembre coi siciliani. Certo, ci possono essere altre iniziative, possono arrivare dal Pd, dai 5 Stelle, da Sicilia Futura, non ho mai detto no. Ma non possiamo azzerare il mio contratto, possiamo integrarlo. Se vogliamo lavorare insieme per tirare la Sicilia fuori dal pantano in cui si trova, non è possibile che dobbiamo andare in Aula per assaporare il gusto di contare gli errori del governo come i reparti Celere quando andavano in assetto di guerriglia nello scontro con i manifestanti».

Quale obiettivo vorrebbe raggiungere entro il 31 dicembre 2019?
«L’aumento dell’occupazione, il calo dell’emorragia dei giovani verso l’estero, l’inizio della riqualificazione viaria provinciale e l’avvio del piano di adeguamento delle norme antisismiche delle strutture strategiche della nostra Isola. E siccome so che voi memorizzerete questa mia dichiarazione e alla fine del 2019 tornerete a verificare quanti obiettivi sono stati realizzati, io vi sfido perché almeno la maggioranza di questi obiettivi possa essere raggiunta».


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