Protezione civile, gli appalti milionari vinti da Matacena Dai legami in Calabria ai rapporti con gli uomini della P4

Ribassi tra lo zero virgola cinque e l’un per cento e concorrenza, quando c’è, sbaragliata. Sullo sfondo, un rapporto con l’amministrazione regionale che si rinnova da almeno un decennio con appalti milionari. Per l‘imprenditore napoletano Luigi Matacena non si può dire che la Sicilia non sia terra di soddisfazioni. L’ultima risale a fine luglio quando il dipartimento regionale della Protezione civile ha ratificato il risultato della gara indetta per l’acquisizione di container e attrezzature per l’allestimento degli edifici strategici destinati ai centri dislocati nell’isola. Una fornitura da quasi sette milioni di euro per dotarsi di strumenti – dagli zaini tattici ai kit di sfondamento, passando per geofoni cercapersone, cesoie, lance termiche e altro ancora – utilizzabili in caso di grandi calamità e che saranno assegnati nella maggior parte dei casi ai vigili del fuoco di ogni provincia. 

La Piemme&Matacena – società di cui Luigi Matacena è amministratore – si è aggiudicata l’appalto proponendo un ribasso dell’un per cento. Lo stesso presentato tre anni fa in occasione di una gara simile: a variare, in quel caso, furono l’importo della gara (poco meno di cinque milioni) e la destinazione dei container, individuata nelle isole minori. Nessuna differenza, invece, per quanto riguarda i rivali: nemmeno uno in entrambe le circostanze. Mentre nel 2015 la busta presentata dall’imprenditore campano fu l’unica a finire sul tavolo della commissione di gara, a provare a concorrere quest’anno sono state altre due imprese siciliane: la Umberto Genovese srl e la Giuseppe Campione spa. Entrambe però sono state escluse. Se per la seconda si è trattato di rilievi sulla solidità finanziaria e la mancata attestazione di un volume di forniture nel triennio pari all’importo della gara, nel caso della Umberto Genovese, società con sede a Melilli, nel Siracusano, più che di esclusione si può parlare della decisione di non partecipare. Nel plico inviato alla Protezione civile regionale, l’impresa ha infatti inserito soltanto una lettera in cui si sottolinea la mancanza di tempi sufficienti a presentare un’offerta adeguata.

La ristrettezza dei termini – circa 35 giorni -, stando a quanto dichiarato dalla stessa Protezione civile, risponde alla necessità di raggiungere, entro la fine dell’anno, il tetto minimo di spesa di fondi comunitari fissato dalla giunta Musumeci. Motivo peraltro usato per giustificare la decisione di rendere efficace il contratto con Piemme&Matacena, tramite l’esecuzione d’urgenza, già a partire dall’aggiudicazione ma che apparentemente stride con i tempi attesi per l’apertura delle buste: meno di una settimana dopo la chiusura dei termini per partecipare, infatti, le operazioni di gare sono state posticipate a data da destinarsi, per poi iniziare soltanto dopo un mese. Le criticità del bando sarebbero però anche altre. 

«Avere incluso tutto in un unico lotto ha tagliato fuori le piccole aziende fornitrici. Senza contare che alcuni dei prodotti richiesti è pressoché impossibile recuperarli se non si passa dalla Piemme&Matacena, che risulta rivenditrice in Italia per diversi produttori stranieri», sostiene un imprenditore del settore a microfoni spenti. Oltre alle richieste dettagliate, il bando presenta anche diverse similitudini con quello del 2015, come emerge anche dai quesiti inviati al responsabile unico del procedimento, Biagio Bellassai, da una delle aziende interessate all’appalto: parlando della fornitura di lampade ricaricabili antideflagranti, una ditta chiede conferma di alcuni aspetti tecnici specificando di fare riferimento ai «dati comunicati dalla stazione appaltante per la precedente gara»

«Ci muoviamo in un settore di nicchia – replica a MeridioNews di Luigi Matacena -. Di aziende così specializzate, in Italia ci siamo solo noi. Negli anni abbiamo selezionato attrezzature particolari che vengono dal settore militare declassificato, soprattutto da produttori americani, nordeuropei e israeliani, di cui siamo distributori esclusivi in Italia. E poi abbiamo anche brevetti interamente nostri. Ma – continua – i bandi lasciano comunque margini di manovra sulle attrezzature che permettono alla concorrenza di rivolgersi anche ad altre ditte presenti in Italia». Per l’imprenditore napoletano, dunque, la poca concorrenza nelle gare d’appalto sarebbe spiegabile con la mancanza di rivali di livello. «In Italia perlopiù ci sono aziende che cercano di arrangiarsi, quando si ci rivolge a distributori stranieri bisogna pagare in anticipo la merce e questo per i più piccoli magari è un problema», aggiunge l’amministratore della Piemme&Matacena. 

Andando ancora indietro nel tempo si arriva al 2009. Matacena, quell’anno, si aggiudica un’altra gara, stavolta per la fornitura di mezzi alla Protezione civile. Base d’asta superiore ai 12 milioni di euro, che Matacena lima dello zero virgola cinque per cento. Anche in questo caso un ribasso minimo ma comunque sufficiente, perché nessun altro presenta offerte. «Non accade solo in Sicilia, ci capita spesso di vincere senza concorrenza in tante altre regioni – ammette l’imprenditore – ma il motivo, come ho detto, va cercato nel fatto che nessun altro offre la qualità che garantiamo noi, i livelli di formazione e assistenza».

Nelle prossime settimane ad attirare l’attenzione di Matacena potrebbero essere però non soltanto gli affari. Al tribunale di Catanzaro si terrà a breve l’udienza preliminare del procedimento Calabria Verde, dal nome della società in house della Regione al centro dell’inchiesta che ha coinvolto vertici dirigenziali e politici. Nelle carte dell’indagine – sulla società lavorano non solo i magistrati di Catanzaro ma anche quelli di Castrovillari – è finito anche l’iter di una gara da 32 milioni di euro che avrebbe avuto come unica protagonista proprio la Piemme&Matacena. Il condizionale non è casuale: quella procedura, infatti, dopo essere stata indetta a metà 2015, non si espletò per il rischio di non riuscire a rendicontare all’Ue la somma proveniente dai fondi europei. 

A citare più volte Matacena – che non ha ricevuto avvisi di garanzia per questa vicenda – sono i finanzieri del nucleo di polizia tributaria. Il nome dell’imprenditore viene tirato in ballo per i presunti rapporti privilegiati con i vertici di Calabria Verde, tra i quali il dirigente generale Paolo Furgiule e il dirigente Alfredo Allevato, entrambi arrestati a fine 2016. «La Piemme&Matacena gode di una sorta di diritto esclusivo in Calabria Verde», si legge nella richiesta di autorizzazione alle intercettazioni dei telefonini degli indagati. A tratteggiare la presunta vicinanza tra Matacena e gli uffici regionali è Allevato, che agli investigatori, parlando di una precedente gara, racconta di come l’ufficio Gare avesse ricevuto e-mail dall’imprenditore in una fase in cui il bando doveva ancora essere pubblicato

Le Fiamme Gialle riassumono tutti gli appalti vinti dalla società campana. Anche in questo caso si parla di un rapporto consolidato per oltre un decennio: tra il 2004 e il 2015 sono quattro gli appalti vinti, per un importo complessivo di oltre 32 milioni di euro. Somma che sarebbe raddoppiata se il mega-appalto non fosse stato stoppato. I militari si spingono anche più in là definendo la società di Matacena «stabile partecipe del circuito di illecita cointeressenza generato» e definendo Furgiule e Allevato «solidi anelli di continuità e garanzia rispetto alle pretese illecite di società private come quella di Matacena». A riguardo la replica dell’imprenditore è netta: «Mai ricevuto un avviso di garanzia, quindi non ho motivo di commentare. Una cosa però gliela posso dire: dopo avere appreso dai giornali alcune dichiarazioni dei dirigenti di Calabria Verde, tramite i miei avvocati ho fatto richiesta alla procura di essere sentito ma a distanza di tre anni – sottolinea Matacena – nessuno mi ha chiamato. Si figuri dunque quanto possa sentirmi sereno». 

In passato il nome di Matacena – che con l’ex parlamentare latitante a Dubai condivide solo il cognome – è comparso anche nell’ambito di una vicenda di portata nazionale. Era il 2011 quando l’imprenditore venne ascoltato dai magistrati che indagavano sull’inchiesta P4 e la rete di influenze che ruotava attorno al faccendiere Luigi Bisignani. Nello specifico Matacena, il cui nominativo era contenuto nella cosiddetta lista Falciani sui cittadini che avevano portato denaro all’estero, raccontò delle pressioni ricevute dall’allora parlamentare ed ex magistrato Alfonso Papa, figura di riferimento di Bisignani. «Avevo paura di lui perché mi dava l’idea di essere un uomo pericoloso legato a uomini dei servizi. Per questo non volevo mettermelo contro», raccontò ai magistrati Matacena. Spiegando così il motivo per cui aveva pagato alberghi, auto e cene ai propri interlocutori.


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