Siracusa, storia della donna che vive nel sacco nero I tentativi di aiutarla. «Ha paura, lì si sente al sicuro»

Si chiama Agnes, è di origine nigeriana e ha circa 30 anni. L’ultimo l’ha passato accovacciata su un gradino in corso Umberto – la via principale che collega il quartiere dell’isola di Ortigia con il resto della città di Siracusa – rifugiata dentro un grande sacco nero di plastica che di solito si utilizza per la spazzatura. Una decina di giorni fa, alcune fotografie che la ritraevano hanno fatto il giro di vari gruppi su Facebook. Arrivata dall’Africa con uno sbarco nell’aprile del 2016, viene trasferita in una struttura per la prima accoglienza dove resta fino all’ottobre dello stesso anno. Circa sei mesi: il tempo necessario per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Avuto il documento, decide di lasciare il centro, rifiutando di essere inserita in un progetto di seconda accoglienza all’interno di un centro Sprar.

«Nei mesi in cui è stata qui da noi era tranquilla, serena. Non ci ha mai dato problemi. È vero che stava sempre sulle sue ma abbiamo ritenuto fosse legato semplicemente a questioni di tipo caratteriale». La descrivono così dal Cenacolo Domenicano di Solarino, la struttura in provincia di Siracusa dove la ragazza è stata ospite nei suoi primi mesi in Italia: «Non sappiamo cosa le sia accaduto dopo che ha lasciato la nostra struttura», commentano. E, in effetti, nessuno sembra sapere ricostruire con precisione le tappe che l’hanno portata a vivere dentro quel sacco. Dopo l’ottobre del 2016 è stata, per qualche mese, a Parma e quando è tornata a Siracusa all’inizio dello scorso anno era in grave stato confusionale e sul suo corpo c’erano evidenti segni di violenze. Come e perché sia tornata nel capoluogo aretuseo non si sa. Rientrata, ha iniziato a vivere per strada.

Il primo contatto con i servizi sociali del Comune risale ad agosto scorso. La ragazza viene avvicinata insieme alla cugina con cui era arrivata in Italia e a una operatrice dell’organizzazione internazionale per le migrazioni – l’Oim – esperta in vittime di tratta. Perché è di questo che potrebbe trattarsi. Dopo l’accertamento sanitario, il medico reperibile al pronto soccorso richiede il ricovero nel reparto di psichiatria per una crisi psicotica. Nell’ospedale aretuseo però non c’è posto e la ragazza viene portata a Reggio Calabria. Dimessa, Agnes decide ancora una volta di tornare a Siracusa, per strada. Le istituzioni locali le offrono varie possibilità, ma lei non ne accetta nessuna. «Non si fa prendere in carico e noi non possiamo obbligarla perché abuseremmo dei nostri poteri senza tenere conto dell’iter burocratico, delle competenze di settore e delle responsabilità». Solo un magistrato potrebbe farlo nonostante la giovane, da più di un anno, conduca una vita al limite fra la patologia psichiatrica e la libera scelta. Il rischio è quello che si faccia ricorso a un trattamento sanitario obbligatorio mentre esistono, anche in provincia, centri Sprar specializzati per donne vittime di tratta con disagi mentali e psicologici.

«Spesso parla da sola, qualche parola la dice anche in italiano – racconta a MeridioNews una donna che vive in un palazzo nei dintorni – e capita che siano parolacce rivolte a chi cerca di avvicinarla. Non sopporta la compassione e non accetta l’elemosina, ma reagisce male e può anche diventare aggressiva con chi insiste». Alcuni residenti, che continuano a provare a dialogare con lei, raccontano che «ragiona perfettamente ed è anche abbastanza lucida, sembra solo arrabbiata con la razza umana». Una signora si è offerta di ospitarla in casa o di pagarle un b&b, nell’attesa che si trovi una soluzione definitiva. «Non vuole accettare nessun tipo di aiuto anche se qualche volta mi sembra terrorizzata dalla consapevolezza del pericolo che comporta questo suo stile di vita». Non si ubriaca, non si prostituisce e ad alcune persone ha raccontato che passa la maggior parte della sua giornata pregando. «A me – riferisce la signora che, per il momento, preferisce rimanere anonima per non rischiare di tradire la fiducia di Agnes – ha detto che si sente sicura solo stando in pubblico, in mezzo alla strada, dove la vedono tutti e, secondo lei, nessuno può farle del male. Non la vedo come una persona che soffre di questa sua condizione ma paradossalmente – conclude – come una che lo fa per tutelare in modo estremo la propria libertà».


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