Giovanni Cilia è stato arrestato a settembre del 2015 insieme ai figli Rosario ed Emanuele. Ieri gli è stato sequestrato un patrimonio da oltre 20 milioni di euro. Già condannato per mafia, a inizio anni Duemila riuscì a convincere il Tribunale della liceità dei propri beni. Oggi l'impresa sembra decisamente più difficile
Coca e tulipani, il sequestro ai Cilia di Vittoria Gli affari della Stidda con le ‘ndrine in Olanda
«E se ti faccio guadagnare i soldi veri a scendere dall’Olanda, oltre ai fiori?». La proposta ammiccante arriva dalla bocca di Emanuele Cilia, 42enne originario di Vittoria, ma con casa a Roma e grosso fiuto per gli affari. Avendo compreso che dai Paesi Bassi si potevano importare non solo prodotti florovivaistici, ma anche droga. Cocaina, nello specifico; merce ben più redditizia e capace di fare impennare i guadagni annuali di una famiglia. Il 42enne, a luglio del 2013, ne parla con un altro commerciante di fiori all’interno della propria automobile. Una Fiat 500 su cui, però, gli uomini del Ros dei carabinieri di Roma hanno piazzato una cimice. L’intercettazione è una delle tante confluite nelle migliaia di pagine che compongono l’inchiesta Krupy della Procura della Capitale, che poco più di due anni dopo porta all’arresto di decine di persone, tra le quali lo stesso tre componenti della famiglia Cilia: oltre a Emanuele, il fratello Rosario e, soprattutto, il padre Giovanni.
Per gli inquirenti, infatti, è proprio quest’ultimo il regista delle manovre che avrebbero portato la famiglia vittoriese nel pieno del business legato al traffico di stupefacenti. Affari nelle mani della ‘ndrina dei Commisso e, in particolar modo, alla famiglia Crupi, originaria di Siderno. Il ruolo dei Cilia sarebbe stato quello dei finanziatori. Secondo la ricostruzione dei magistrati, il denaro – chiamato buste o carrelli – partiva da diverse regioni del Sud, tra le quali la Sicilia, per arrivare a Latina. Qui veniva raccolto, nascosto nei furgoni per i fiori e spedito in Olanda. Con gli automezzi che al ritorno viaggiavano pieni di cocaina. L’asse, per le Procure di Roma e Reggio Calabria, sarebbe stato talmente solido al punto da organizzare almeno due invii di denaro a settimana dall’Isola. Tra gli autisti impiegati nel trasporto dei contanti ci sarebbe stato anche lo stesso Emanuele Cilia.
A riguardo il padre – interrogato poco dopo l’arresto dai magistrati – ha provato a spiegare che «il denaro che veniva consegnato rappresentava l’incasso delle vendite di fiori eseguite in Sicilia». Una versione che non ha convinto gli inquirenti e che contrasta con il contenuto dei dialoghi captati nel corso delle indagini. Uno di questi viaggi viene intercettato dalla polizia il 20 settembre 2013: alla guida di un furgone si trova Gian Carlo Berretta. L’uomo era stato precedentemente in Sicilia e, a bordo di un furgone, era diretto a Latina. Con lui, la somma di 62mila euro. Nonostante il sequestro e gli occhi degli investigatori puntati sulle attività delle società dei Crupi, le staffette per fare arrivare i soldi nella città laziale sarebbero andate avanti anche nei mesi successivi, con tappe intermedie a Fisciano, in provincia di Salerno, dove ha sede l’impresa di trasporti Napoli Trans.
In merito a queste vicende è in corso al Tribunale di Latina il processo di primo grado. Ieri, invece, la Direzione investigativa antimafia ha effettuato il sequestro di beni per un valore complessivo di oltre 20 milioni di euro. Patrimonio riconducibile non solo ai tre Cilia arrestati due anni fa, ma anche ai loro familiari. Dalla moglie di Giovanni Giuseppa Denaro, agli altri figli Gianluca e Giovanna, passando per la nuora Saveria Mazzei e il genero Salvatore D’Amato. A loro sono riconducibili a vario titolo le società Maxflora, Rogi.Invest, Flora Sicilia, Marben Casa, Floranet, Med.Flor, Flore You, Greenpig, e poi ancora parte della Maff srls e due ditte individuali. La sezione misure di prevenzione del Tribunale di Ragusa ha disposto anche i sigilli per numerosi immobili e mezzi, e il congelamento di conti correnti e fondi di investimento.
Il dinamismo finanziario dei Cilia per la Dia sarebbe stato frutto diretto delle attività illecite. A fare ritenere verosimile questa tesi sono da una parte i numeri, che dicono come il capofamiglia e la moglie, tra il 1998 e il 2015, abbiano fatto spese decisamente più corpose dei redditi dichiarati, con un saldo negativo complessivo di quasi un milione e 300mila euro; ma anche il legame di Cilia alla mafia vittoriese. Ritenuto esponente di spicco del clan Dominante, legato alla Stidda, nel passato di Cilia – conosciuto negli ambienti criminali con l’appellativo di presidente – c’è anche una condanna definitiva per mafia. È il 2001 quando all’allora 47enne viene comminata una pena di otto anni e mezzo, al culmine di una vicenda giudiziaria nata nel ’95 con l’arresto nell’operazione Squalo a cui seguì un primo sequestro di beni del valore di 607 milioni di lire. Soldi che poi, sei mesi prima della condanna, gli furono restituiti con il giudice che parlò di «elementi testimoniali e documentali» sufficienti ad assciurare «la legittima provenienza dei beni». Sedici anni dopo davanti a Cilia si presenta la stessa necessità di allora: riuscire a convincere il Tribunale che il considerevole patrimonio accumulato non derivi dalla vendita della cocaina, ma dai tulipani.