Giorgio Agosta insieme alla moglie gestisce una delle imprese che hanno ricevuto i controlli della polizia nell'ambito del progetto che punta a contrastare lo sfruttamento nei campi. «Paghiamo i braccianti senza guardare alla nazionalità. Chi non rispetta le regole inquina il mercato», dichiara
A Ispica l’azienda virtuosa che combatte il caporalato Diritti rispettati, salari da contratto, studenti stranieri
«Non siamo gli unici a lavorare rispettando la legge e le persone». Si schernisce Giorgio Agosta – il titolare di Agriblea, azienda di Ispica specializzata nella produzione di pomodori secchi – quando gli si chiede un commento sugli attestati di stima che indirettamente sono arrivati dalla questura di Ragusa, impegnata negli scorsi giorni in una serie di controlli nell’ambito del progetto Freedom contro il caporalato.
La polizia – nel comunicare i risultati degli accertamenti, che hanno portato anche all’arresto di tre persone – non menziona mai direttamente l’attività di Agosta ma è anche a lui che si riferisce quando si parla di aziende virtuose che rispettano la legge «sia per quanto concerne l’impiego dei braccianti agricoli sia per tutte le altre norme correlate, come la sicurezza sui luoghi di lavoro, l’uso di fitofarmaci e la tracciabilità dei prodotti biologici». Tutti principi che Agosta rivendica, tuttavia senza farne un vanto. «I controlli vengono fatti a campione e stavolta hanno riguardato anche noi – commenta a MeridioNews l’imprenditore 55enne, che da 18 anni gestisce con la moglie l’azienda agricola -. Ben vengano questi approfondimenti e questo per più motivi».
Tra essi, Agosta segnala il contrasto alla turbativa del mercato causata da chi sceglie di lavorare senza rispettare la legge. «Spesso sono aziende che propongono pezzi decisamente più bassi condizionando la concorrenza – spiega l’imprenditore -. Ma questi vantaggi arrivano soltanto se si sceglie di seguire percorsi illeciti». Scelte che, come emerso una volta di più dai controlli dei giorni scorsi, passano per lo sfruttamento dei braccianti. Soprattutto quelli extracomunitari, spesso vittime dei ricatti legati alla loro condizione di irregolarità o più in generale della mancanza di conoscenza dei propri diritti. Tutte situazioni che gli investigatori non hanno riscontrato in Agriblea. «Da noi lavorano anche 60 persone, tutte messe in regola e pagate con un salario in linea con quanto previsto dal contratto provinciale», prosegue Agosta. Cioè più di 50 euro per otto ore di lavoro.
Si tratta pressapoco della cifra che uno dei fratelli Giamblanco – titolari di un’altra azienda di Ispica ed entrambi arrestati con l’accusa di violazione della legge sul caporalato – avrebbe intimato ai braccianti di dichiarare quando sarebbero stati interrogati dalla polizia. Pena il licenziamento. «Li pagavano 35 euro per dieci o dodici ore? Ognuno risponde delle proprie azioni – va avanti Agosta -. Da noi ciò non è mai avvenuto, i braccianti sanno che rispettiamo i diritti dei lavoratori indipendentemente dalla loro nazionalità». Tale filosofia era prevedibile non suscitasse le simpatie dei concorrenti. «Capita di sentire nell’aria una certa antipatia nei nostri confronti, ma si è sempre limitato tutto a questo. Non abbiamo mai ricevuto altro tipo di pressioni», assicura l’imprenditore.
Il 55enne e la moglie da anni sono impegnati anche nella promozione della propria attività attraverso partnership con le università. «Attraverso quelle siciliane arrivano da noi studenti dalla Florida o dalla Svizzera per svolgere i tirocini – racconta Agosta -. È un’esperienza che ormai va avanti da diversi anni e devo dire che risulta interessante non solo ai ragazzi ma anche a noi, che abbiamo la possibilità di confrontarci con persone provenienti da altre realtà».