Il ministero dell'Interno ha individuato la zona dove far nascere il centro di identificazione chiesto dall'Ue, nonostante il parere negativo dell'autorità portuale. La sindaca del Movimento 5 stelle, insieme ad alcuni deputati, ha visitato la struttura: «La tendopoli è illegale e temo per le infiltrazioni terroristiche». Guarda le foto
Augusta, tutti contro l’hotspot dentro il porto «A rischio sicurezza e sviluppo, stop sbarchi»
In mezzo alle brandine sono rimaste decine di bottigliette riempite di urina. Fanno capolino tra buste, cartacce, resti di alimenti. Dentro il porto di Augusta, la tendopoli che fino a ieri ha ospitato 91 migranti, si presenta così. Cettina Di Pietro, la sindaca del Movimento cinque stelle alla guida del Comune siracusano che finora ha gestito il servizio di pulizia all’interno della tendopoli, pur non essendo di sua competenza, ha comunicato alla Prefettura che non intende più accollarsi i costi. La città da poco diventata sede dell’autorità portuale che comprende anche Catania, ha accolto oltre 21mila persone soltanto nel 2015. Secondo i dati del ministero dell’Interno è il numero di sbarchi più alto d’Italia. «Con la differenza – sottolinea la prima cittadina – che, mentre negli altri porti i migranti vengono subito smistati in altri centri, qui hanno costruito questa tendopoli che è diventata a tutti gli effetti un centro di prima accoglienza».
Realizzata per durare pochi mesi, la struttura è invece diventata punto fermo della precaria macchina dell’accoglienza, al punto che il ministero dell’Interno ha deciso di trasformarla in hotspot, cioè in uno dei centri chiesti all’Italia dall’Unione europea per distinguere tra migranti economici, e quindi da respingere, e quelli che hanno il diritto di chiedere asilo. La differenza con un Centro d’identificazione ed espulsione? «L’unica riguarda i ricollocamenti, ma è una grande presa in giro, visto che in Italia sono stati appena 130», spiega Giuseppe Brescia, deputato del Movimento cinque stelle e componente della commissione parlamentare d’inchiesta su Cie e Cara. Lui – insieme a deputati, sindaca, assessori ed alcuni giornalisti – oggi ha fatto visita alla tendopoli. Non un’ispezione, ma una visita d’accordo con l’autorità portuale, per ribadire un fermo no all’apertura dell’hotspot.
La struttura d’accoglienza all’interno del porto e poco lontano dalle banchine in cui attraccano le navi commerciali, è formata da due grandi tende capaci di ospitare centinaia di persone e alcune più piccole. Ci sono solo sette bagni chimici e dieci docce a disposizione dei migranti, che in alcuni casi hanno superato le mille unità. «È completamente illegale, è stata occupata un’area commerciale», attacca la sindaca. Il ministero dell’Interno invece va oltre e ha individuato nello spiazzala antistante il luogo adatto per realizzare quanto chiesto dall’Europa. Il bando di gara è già stato espletato da Invitalia per conto del ministero dell’Interno e si è chiuso lo scorso 9 dicembre, si attende quindi l’esito delle buste. Il tutto, però, nonostante il parere negativo dell’autorità portuale.
«La nostra missione – sottolinea il commissario dell’autorità Alberto Cozzo – è essere approdo per merci e passeggeri, non certo fare accoglienza. Il ministero delle Infrastrutture ci ha chiesto un parere e il comitato portuale, una sorta di cda del porto che riunisce pubblico e privati, ha espresso il suo no in maniera univoca». La superficie individuata per l’hotspot ha già infatti un’altra finalità: quella di area di cantiere per la realizzazione dei nuovi piazzali di approdo, che dovrebbero nascere lì dove ora ci sono solo acquitrini. «Un’opera importante per il porto – continua Cozzo -, potremmo trovare altre aree ma sarebbe un problema». L’autorità portuale è andata anche oltre, suggerendo al ministero della Difesa, di utilizzare i capannoni dell’area industriale Asi per la realizzazione dell’hotspot. «Si trovano ad appena tre chilometri da qui ma fuori dal perimetro del porto», precisa il commissario.
Ipotesi che non è assolutamente condivisa dalla sindaca. «La presenza di un hotspot, fuori o dentro il porto, creerebbe grossi contraccolpi sul versante sicurezza», spiega Di Pietro. Il riferimento è al «rischio di infiltrazioni di terroristi tra migranti, come sottolineato oggi anche dal ministero della Difesa francese». Ma è un’altra sindaca, quella di Lampedusa Giusi Nicolini, a tornare, con ben altri toni, sulle parole del politico transalpino: «Quello che dice il ministro della Difesa francese è privo di fondamento e non tiene assolutamente conto dei dati. Vorrei ricordare al ministro francese che gli autori dei più recenti attentati terroristici a Parigi sono cittadini francesi. Noi da più di venti anni ci occupiamo di accoglienza e posso assicurare che sui barconi arriva solo gente disperata. Solo un disperato prende la barca sapendo che può morire ustionato o annegato o addirittura ammazzato».
Finora si è registrato solo il caso di un migrante arrivato in Sicilia attraversando su un barcone il Mediterraneo e fermato con l’accusa di terrorismo. Si tratta del 20enne siriano arrestato a Pozzallo. «Non c’è nessun intento xenofobo, ma non possiamo aspettare che succeda il disastro», sottolinea Di Pietro che teme per «il più grosso polo petrolchimico d’Europa, la base Nato e l’arsenale militare marittimo, tutti siti sensibili che potrebbero causare danni irreparabili a tutto il Paese». Per non parlare dei costi sostenuti dal Comune. «Da marzo a dicembre del 2015 abbiamo pagato 500mila euro, di cui ci è stata rimborsata dal ministero solo la metà – fa i conti la sindaca -. E i nostri servizi sociali sono impegnati tutto il giorno per trovare una sistemazione ai minori. Come faccio a rispondere ai cittadini che mi dicono “per gli immigrati i soldi ci sono e per noi no”?». Sicurezza e sviluppo economico che mal si conciliano con un hotspot. Tesi su cui però i ministeri della Infrastrutture e dell’Interno non sembrano trovare una sintesi efficace.