I piccoli agricoltori alle prese coi fondi europei Emanuele Feltri: «Non toccano ai poveri cristi»

Emanuele ha corso tutta la mattina, spaventato dai nuvoloni in cielo, per completare la raccolta delle arance da spedire. A sera però, asciugato il sudore sulla fronte, sfoga rabbia e rammarico, sul mancato sostegno delle istituzioni, locali e transnazionali, agli agricoltori. Negli anni Emanuele Feltri ha resistito alle intimidazioni e alle minacce ed è riuscito a creare una rete di condivisione e auto-organizzazione: «A fatica però, l’agricoltore ancora non sa che la crisi è di sistema; non vuole credere che esistono accordi politici di libero mercato, che hanno l’obiettivo di debellare l’economia agricola territoriale».

Insieme a sempre più contadini rivendica il concetto di «sovranità alimentare, che include molteplici aspetti, soprattutto il diritto dei popoli di autodeterminarsi, quindi la possibilità di decidere le proprie politiche agricole». Invece si subiscono le scelte dell’Europa, accusata di non tutelare né incentivare i coltivatori siciliani: «La Pac (Politica Agricola Comunitaria), che da tantissimi anni eroga contributi, ha creato un cuscinetto sociale il cui effetto è un’agricoltura di sussistenza. Non importa la qualità e la quantità della produzione, tanto ci sono gli aiuti».

Esiste, secondo Feltri, un malsano sostegno economico dell’Unione Europea – che non viene impiegato nella totalità, perdendo fondi – che non risolve la crisi del comparto: «La cruda realtà è che i finanziamenti non vengono concessi a chi davvero è impiegato nel settore, poveri cristi che coltivano la terra; il meccanismo è studiato per favorire sempre i più grandi, i potenti, mai i piccoli». Inizia così un giro, non tra gli alberi d’arancio di Sciddicuni, la contrada dove si trova l’appezzamento di Emanuele, ma tra le varie forme possibili di finanziamento in materia agricola. «I contributi Agea (l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura) vengono erogati in base all’estensione di terra, agli ettari; esistono dei titoli, depositati nei fascicoli che detengono i Caa, centri per l’agricoltura, su cui c’è persino una compravendita. E se sei nessuno, ti danno pochissimo – denuncia Emanuele -. Io prendo, per cinque ettari, meno di mille euro. Non riesco a pagare nemmeno l’Imu con quel contributo: ricevi meno di quanto ti levano».

Così i contributi europei sono discesi come una manna sull’isola siciliana e sui suoi ettari di coltivazioni: «Questo non poteva che scatenare gli appetiti mafiosi, ed è iniziata una corsa per accaparrarsi estensioni immense di terreno. Vendendo terreni di agricoltori, anche anziani e totalmente ignari, o chiedendo contributi mai richiesti dai legittimi proprietari. Oppure, infine attraverso minacce, incendi e costrizioni all’abbandono». Hanno contribuito alla crisi dell’agricoltura anche i finanziamenti dei Piani di Sviluppo Rurale: «Uno schifo, composto da decreti legge incomprensibili, che vanno in contraddizione tra loro». Emanuele si addentra nella spiegazione: «Per ricevere un contributo, non puoi avere una partita Iva, anche se con minimo profitto. Ma tutti gli agricoltori che vendono legalmente, anche i più giovani, ne hanno una». Si riferisce ai finanziamenti per il primo insediamento, sanciti con la misura 112 del Psr, nata con l’obiettivo di «proseguire nell’azione di ringiovanimento del settore agricolo», come scritto nel bando. Balza tra i problemi, Emanuele, scaldandosi per la rabbia: «Il fondo perduto poi non esiste: l’erogazione dei finanziamenti va a stadi. Ricevi un anticipo per il progetto e poi un saldo finale, di solito con grossi ritardi. Così prima investi e poi, per dimostrare l’avanzamento dei lavori, devi indebitarti. Costretto, perché altrimenti devi tornare indietro l’intero importo». Una misura immaginata solo per chi dispone di ingenti capitali, sostiene Feltri. 

Le difficoltà per gli agricoltori siciliani non risiedono solo nei fondi pubblici. «Esiste un elenco infinito di storture: la logistica indietro di decenni, o il sistema dei trasporti. Dopo che produci, devi trasportare le merci per venderle». Persino il bene vitale primario, l’acqua, è un lusso per chi lavora la terra: «Non esistono le acque irrigue. Debiti e problemi hanno travolto i Consorzi di bonifica; adesso sei costretto a rivolgerti a consorzi privati che hanno costi allucinanti, di centinaia di euro l’ora. Così prendi l’acqua per non far morire l’agrumeto o l’oliveto, ma non puoi coltivare». Sembra di essere tornati indietro di decenni, a sentire Emanuele, con i contadini costretti a battersi come nel romanzo di Ignazio Silone, Fontamara, che però descriveva il mondo rurale nel ventennio fascista. «Invece oggi i contributi riescono a placarti, ormai non si riesce ad organizzare una lotta – commenta Feltri – sembra tutto parte di un progetto ben preciso: in assenza di ricambio generazionale, è stata volutamente eliminata una classe, quella degli agricoltori. Così la si sostituisce con una di consumatori di merce della distribuzione globale. E per lavorare la terra ci sono i migranti. È un modello che è già stato sperimentato in America Latina».                    


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