Lo studio è partito un anno fa e ha dato i primi risultati, fornendo spunti per ricostruire il territorio all'epoca dei primi insediamenti colonici ma dando anche informazioni importanti per quanto riguarda il rischio idrogeologico. Prossimamente si potrà sapere di più sul clima e le colture di quell'epoca
Archeologia, ricostruire la Selinunte di 2700 anni fa «Il sottosuolo ci offre tracce storiche inconfutabili»
Il sito archeologico di Selinunte non smette di stupire. Una nuova pagina di storia sta per essere scritta. A distanza di un anno dall’inizio del progetto di ricerca portato avanti dai geomorfologici dell’Università di Camerino, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni culturali di Trapani e il Parco Archeologico di Selinunte, arrivano i primi risultati. Gli studiosi hanno ritrovato gli ambienti naturali della Selinunte di 2700 anni fa. I risultati delle eccezionali indagini geofisiche saranno presentati domani e mercoledì.
Il successo è stato possibile grazie all’ausilio di apposite strumentazioni che hanno permesso ai geologi di analizzare la situazione paleo-ambientale dei primi insediamenti, non visibile ma celata sotto il sottosuolo. «Le termocamere – spiega Gilberto Pambianchi, presidente dei geomorfologi italiani e coordinatore del progetto scientifico di ricerca – sono capaci di valutare la temperatura del suolo semplicemente sfruttando le radiazioni a infrarossi e così hanno la capacità di scansionare le anomalie che dipendono dalla composizione del sottosuolo. Sulla base dell’interpretazione delle immagini ottenute, abbiamo dedotto quella che poteva essere una prima ipotesi della configurazione del paesaggio al momento in cui sono arrivati i coloni greci a fondare Selinunte».
Una scoperta che ha permesso di definire, e quindi prevenire, il livello di rischio idrogeologico e sismico presente nel territorio che potrebbe gravemente danneggiare l’immenso patrimonio monumentale esistente. Inoltre, i risultati incoraggianti del primo anno di ricerca hanno spinto gli studiosi ad approfondire lo scenario storico ed ambientale del sito per altri due anni. «Nei prossimi mesi – anticipa Pambianchi – eseguiremo nuovi sondaggi litostratigrafici che ci permetteranno di stabilire con certezza, per mezzo della datazione al radiocarbonio e dall’analisi degli isotopi dell’ossigeno, quale era il clima all’epoca delle colonizzazioni storiche, oppure tramite il ritrovamento di sostanze organiche intrappolate nei sedimenti sarà possibile venire a conoscenza del tipo di vegetazione presente all’epoca. Mentre la presenza di semi potrà darci indicazioni sul tipo di frutti e colture».
«Per Selinunte – interviene Enrico Caruso, direttore del parco archeologico e soprintendente ad interim dei beni culturali di Trapani – si tratta di una novità assoluta perché fino ad oggi si è guardato soltanto alla ricerca archeologica, ignorando il territorio». La città, fondata nella seconda metà del VII secolo a.C. da coloni greci provenienti da Megara Hyblaea, divenne il più importante centro commerciale ed economico della Sicilia occidentale. Distrutta una prima volta dai Cartaginesi (409 a.C.) e in un secondo momento dai Romani (250 a.C.) venne abitata fino al XIII secolo circa. A riscoprire l’antica colonia greca nel 1551, ormai sepolta dalla sabbia e dalla macchia mediterranea, fu il frate domenicano saccense Tommaso Fazello che cominciò le ricerche sulla base delle indicazioni dello storico Diodoro Siculo. «A distanza di secoli – continua Caruso – i risultati di questo lavoro ricerca ci permetteranno di vedere come era Selinunte duemila anni fa».
Quali sono state le ragioni che hanno spinto i greci a stabilirsi in questo luogo? Per Fabio Pallotta, geoarcheologo consulente di Unicam e del Parco archeologico di Selinunte, non ci sono dubbi: «La morfologia del territorio – spiega – che lo rende il posto giusto per fondare una città ideale. I primi coloni greci hanno visto le potenzialità e i vantaggi che poteva offrire. La posizione geografica, situata sul mare a un’altezza di quaranta metri e racchiusa tra lagune naturali, le permetteva di difendersi dai nemici, la vicinanza alla costa le dava la possibilità di diventare un punto strategico di confine tra i popoli che commerciano nel Mediterraneo e, infine, la presenza di sorgenti di acqua dolce consentiva la sopravvivenza dei suoi abitanti». E conclude: «L’indagine geologica applicata all’archeologia ci ha permesso di interpretare le strutture antropiche nascoste senza modificare il sito. Molte testimonianze storiche sono poco veritiere o non sono complete, mentre le prove della natura sono vere e incancellabili».