Arance, la nuova stagione nella piana di Catania Prezzi e qualità più alti, ma produzione non basta

«Qui i soldi vengono dalle arance, se vanno male le arance va male tutto». Nelle campagne tra Lentini e Scordia c’è un’aria sospesa. Mentre va avanti la conta dei danni e si spera nei giusti risarcimenti da parte dello Stato, l’attenzione si sposta sulla stagione agrumicola ormai alle porte. Prima dell’alluvione che ha flagellato le campagne della piana di Catania, qualche affare era già stato concluso: arance vendute sugli alberi a prezzi buoni. «Adesso – spiega Salvatore Scrofani, tra i produttori che hanno subito le conseguenze peggiori dal maltempo – tutti aspettano di vedere che effetti ci saranno sui frutti. In molti posti stanno cadendo o sono colpiti da un fungo». È presto per dire quanta parte della produzione è stata irrimediabilmente danneggiata. Secondo Corrado Vigo, ex presidente degli agronomi di Catania, in queste settimane in giro per gli agrumeti per effettuare le perizie tecniche, «si parla di 600-700 milioni di danni». 

Ma le associazioni di categoria e il distretto arancia Dop predicano prudenza, in attesa dei conti dettagliati che forniranno le autorità regionali. Quello che, a detta di tutti gli operatori, sembra certo è che quest’anno i prezzi delle arance sono più alti rispetto alla stagione precedente. Se un chilo di tarocco o moro a fine 2017 veniva venduto in campagna tra 25 e 40 centesimi al chilo, quest’anno dovrebbero servire 15-20 centesimi in più. Con picchi, già registrati nelle scorse settimane, di 70 centesimi. «Parlare di prezzi adesso può essere pericoloso – ammonisce Federica Argentati, presidente del distretto arancia rossa Dop – Si può però affermare che anche prima dell’alluvione erano mediamente più alti, è semplicemente la regola della domanda e dell’offerta». Quest’anno, infatti, la produzione è leggermente in calo – secondo Confagricoltura potrebbe essere del 10-15 per cento in meno – ma allo stesso tempo la qualità è ottima. «Le arance hanno una pezzatura medio grande – spiega Giovanni Selvaggi, presidente di Confagricoltura Catania – e questo incide perché quelle piccole sono maggiormente ad appannaggio dell’industria che le paga a un prezzo stracciato, anche dieci centesimi al chilo».

In generale, però, secondo Selvaggi il problema è più generale e riguarda l’intera produzione siciliana. «Non riusciamo a produrre tutte le arance che il mercato richiede, sembra paradossale ma è così. Oggi c’è grande richiesta di un prodotto di qualità, ma l’Isola non è capace di dare risposte adeguate, anche per le conseguenze del virus della tristeza degli ultimi anni. Servirebbe investire su nuovi impianti». Al quadro strutturale si associano i danni dell’alluvione. Secondo il parere di molti produttori, il risultato in questa stagione agrumicola sarà un ulteriore aumento dei prezzi a partire da inizio 2019 e il rischio di rimanere con pochissimo prodotto già da febbraio-marzo. E la necessità di attingere da altri mercati.

Di fronte a questa altalena stagionale dei prezzi c’è anche chi prova a seguire una strada diversa. La Rete InCampagna – che riunisce una trentina di produttori tra Scordia, Lentini e Carlentini ed esporta i prodotti fuori dalla Sicilia – segue una logica di prezzo medio quanto più possibile stabile negli anni. «Noi proponiamo una sorta di patto tra chi produce e chi consuma – spiega Andrea Valenziani, tra i fondatori della Rete – che rispetta il consumatore che vuole avere un prodotto bio e sano e rispetta anche chi lo produce. Mantenendo un prezzo medio stabile, a prescindere dall’andamento stagionale, il produttore si impegna a non speculare e approfittare dei periodi in cui il prezzo sale, ma allo stesso tempo si salva dai periodi di magra. Così – conclude – superiamo la logica mors tua, vita mea».


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