Aplomb britannico: come e perché si protesta nei college di Cambridge

Un paio di settimane fa il Cambridge Student (uno dei due giornali studenteschi) ha pubblicato un commento dello studente Daniel Heap dal titolo: Why aren’t we standing up for ourselves? L’articolo si concludeva con queste parole: “Ci possono pure essere un paio di persone decenti che sono pronte a ribellarsi alle autorità del college, ma non abbiamo alcuna possibilità di farcela se la grande massa degli studenti non si mobilita (…) Quest’atteggiamento egoista e individualista ci indebolisce come collettività (…) Se non risolviamo il problema di questo atteggiamento mentale, se non riscopriamo uno spirito di opposizione che è stato ormai eroso, niente cambierà e gli studenti di Cambridge continueranno a essere calpestati dai loro college”.
 
Sante parole, chi lo negherebbe. Ma ciò contro cui gli studenti dell’illustre università vogliono combattere al momento ha poco a che vedere con i tagli alla spesa e ai posti di lavoro. Si tratta del divieto, deciso da alcuni college, di permettere agli studenti di portare da casa bottiglie di vino da bere alle cene formali (dove gli studenti inevitabilmente si ubriacano, a volte con conseguenze spiacevoli). Gli studenti del St. John’s college hanno lanciato un boicottaggio delle cene (ma solo dopo quella di Halloween, che è un’istituzione alla quale non si può mancare). Qualche anno fa gli studenti hanno messo in piedi una fortunata campagna di protesta contro lo sfratto di Gardenia’s, una sorta di ‘tavola calda’ aperta fino alle ore piccole (kebab e patatine per intenderci).
 
Sembra uno scherzo, ma non lo è. In Inghilterra gli studenti si mobilitano per cause disparate, portando avanti campagne sulla stampa e nelle istituzioni. Qualità di cibo e bevande sono all’ordine del giorno nelle iniziative studentesche sul fiume Cam: altre campagne sono state a favore dell’introduzione di cibo biologico in alcune mense. Allo stesso tempo, però, gli studenti inglesi si mobilitano con un certo distacco emotivo. Ne ho parlato con una studentessa engagée, della quale ho raccolto questa opinione: “Lo studente medio qui a Cambridge è certamente apatico: firma una petizione se proprio gliela sbatti in faccia, e in teoria è a favore di molte cause, o cause che lo riguardano in prima persona come la retta, ma pochi di fatto si mobilitano e fanno qualcosa di concreto per una causa politica. Inoltre lo studente medio di materie scientifiche tende a essere più apatico di uno che studia materie umanistiche. Però la scena politica sembra migliore di quella che è: quando ci stai dentro ti accorgi che sono sempre le stesse persone che si battono per diverse campagne – anche se poi per alcune si mobilitano a centinaia, come quella di Amnesty International nella quale volontari passano a rotazione delle ore chiusi in una gabbia nel centro di King’s Parade (la via principale della città, ndr)”.
 
Naturalmente la plurisecolare diversità del sistema politico e parlamentare britannico ha un peso sull’attività politica degli studenti. Se a dividersi gli scranni del parlamento sono solo tre grandi partiti (e soltanto due di essi vanno al governo), la battaglia politica riflessa nelle altre istituzioni del Paese è radicalmente diversa da quella che avviene in Italia. Nelle università ci sono gruppi affiliati ai Tories, al Labour e ai Liberal Democrats, così come ci sono gruppi che rappresentano i partiti “minori”: i Socialist Workers ad esempio. Quello che però fanno questi gruppi è creare occasione di dibattito, invitare eminenti relatori, e organizzare una volta ogni tanto una campagna di protesta studentesca più mirata: si tratta di palestre di politica in preparazione per carriere in quel mondo, più che di partiti in miniatura. Le grandi proteste le fanno gli studenti congiuntamente, con poche sfumature di colore politico – così come, in parlamento, le decisioni sui grandi problemi nazionali e internazionali possono essere prese trasversalmente (per capirci: l’opposizione non fa ostruzionismo per partito preso, perdonate il gioco di parole). Anche se “Gli studenti attivi tendono ad essere di “sinistra”, particolarmente quelli contro l’aumento delle tasse. Per questo motivo molti cittadini che votavano Labour si sono sentiti traditi quando nel 1997 il governo Blair ha introdotto gli aumenti”.
 
La mobilitazione contro l’aumento delle tasse universitarie però non ha portato ad occupazioni, sospensione delle lezioni, didattica autogestita (accompagnati da sgomberi della polizia e parole grosse da parte del premier). Questi mezzi di protesta, che in altri Paesi europei affondano le radici nell’attivismo radicale di sinistra, non sono popolari in Inghilterra. La protesta si svolge all’interno degli organi governativi (senato accademico, consigli di facoltà) o a mezzo stampa: raramente con sit-in o ordinate manifestazioni in strada. C’è una sensazione diffusa – quantomeno a Cambridge – che per quanto le istituzioni e i prof stessi siano rigidi e noiosi, il sistema non sia lì per “fregare” gli studenti a ogni costo. E c’è un alto livello di fiducia nell’università come istituzione, ispirato in parte dall’orgoglio stesso degli studenti che sono riusciti a entrare nella torre d’avorio, e in parte dal fatto che grazie a questionari sulla qualità della didattica e forme di controllo di ogni tipo (che funzionano), gli studenti hanno mezzi molto concreti di ottenere migliori condizioni di studio e di vita, senza necessariamente dover scendere in piazza. È un sistema basato su un dialogo, pienamente funzionante, fra l’alto e il basso – o fra il blocco rappresentato da organi governativi e corpo docente e gli studenti. Il corpo docente ricopre un ruolo trasversale: spesso garanti di ordine e disciplina, gli insegnanti possono anche appoggiare le richieste degli studenti (per esempio contro tagli alla spesa o soppressione di corsi di laurea decisi dall’alto) in totale diniego della gerarchia di casta.
 
Poiché il problema dell’accountability dell’istituzione è risolto in larga parte per vie interne al sistema stesso, agli studenti non resta che battersi per i grandi sistemi o per i dettagli. “Gli studenti di Cambridge attivi politicamente lo sono in molti campi. Da un lato ci sono quelli che disturbano eventi organizzati da compagnie private connesse al mercato del petrolio e delle armi, ma dall’altro lato ci sono anche gli studenti dell’Unione Conservatrice che si riuniscono per parlare di politica sorseggiando porto e mangiando prelibati formaggi!”
 
I grandi sistemi non sono quelli delle idee politiche nostrane (fascismo vs. comunismo, destra vs. sinistra), ma hanno una rilevanza umanitaria e internazionale. Essere impegnato politicamente a Cambridge vuol dire fare parte di Amnesty International, manifestare contro la guerra in Iraq e le mine antiuomo, battersi per i diritti dei gay e delle lesbiche. C’è molta enfasi sull’ambiente: la campagna principale si chiama Go Greener e riunisce studenti e amministratori di facoltà e college che lavorano insieme per ridurre l’impatto ambientale di tutta l’università.
 
Tornando alle proteste sulla vita di tutti i giorni, probabilmente allo studente italiano sembrerà buffo che i suoi omologhi britannici facciano una battaglia perché si possa portare una bottiglia di vino da casa alla cena formale in college, o perché il grande ballo di giugno è stato annullato dalle autorità del college causa la cattiva condotta degli studenti durante l’anno. Si potrebbe considerare il simbolo di una comunità che avendo tutto (e in particolare un livello di didattica e ricerca fra i più alti del mondo) può permettersi di lamentarsi del vino e delle feste non autorizzate. “Quando la protesta riguarda la qualità del loro cibo, il prezzo delle loro stanze e se il loro ballo di fine anno avrà luogo, certamente gli studenti sono attivi! Però questo è anche una conseguenza del sistema collegiale: gli studenti sono principalmente interessati a quello che succede nel loro college e si sentono più distanti dall’università come istituzione centrale”.
A ben vedere, la differenza con il movimento dell’Onda non potrebbe essere più marcata.
 
 
 


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