Antimafia e leggi, l’intervento di tre pm Di Matteo: «Noi abbandonati dalla politica»

«E’ importante che la lotta alla mafia venga considerata una lotta di tutti, anche del popolo, non possono essere soltanto i magistrati e le forze dell’ordine a portarla avanti, ma occorre la consapevolezza che si tratta di una lotta dal basso per la vittoria». Così il pm Antonino Di Matteo a CTzen, parole che si traducono in una richiesta precisa: quella di uno sforzo collettivo nella lotta alla mafia. «Il merito dell’azione contro l’ala militare mafiosa è dei magistrati e delle forze dell’ordine, nonostante e talvolta anche contro la politica», prosegue il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo.


Il pm ha parlato davanti a una platea di persone nel corso del dibattito pubblico organizzato dal comitato Addiopizzo intitolato Giustizia, riforme e antimafia, tenutosi al palazzo della Cultura di Catania alla presenza del giornalista Saverio Lodato e dei magistrati Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, e Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Messina. Nel corso dell’incontro, gli addetti ai lavori hanno rimarcato – alla presenza della rappresentante di Addiopizzo Chiara Barone – i cambiamenti del fenomeno mafioso e delle sue manifestazioni un tempo attribuibili tout court a uomini di mafia, oggi invece riconducibili a figure miste.

Varie e complesse le tematiche affrontate dai magistrati, a partire dal recente intervento legislativo attuato nei confronti dell’articolo 316 ter del codice penale, sul voto di scambio. «La pena prevista è ridicola – commenta il procuratore Gratteri- è assurdo considerare meno grave l’accordo tra il politico e il mafioso, rispetto alla condotta del criminale che chiede il pizzo ai negozi». Posizione sostanzialmente in linea anche quella espressa dal pm Di Matteo, che palesa un certo rammarico nei confronti degli attacchi rivolti alla magistratura, alacremente criticata: «Gli stessi che accusano i magistrati di protagonismo, un tempo accusavano Paolo Borsellino per la sua presenza nei luoghi pubblici o in televisione», dichiara. «Ma oggi – prosegue – gli attacchi più violenti sono verso quelle inchieste che vogliono indagare sui collegamenti tra Cosa Nostra e centri occulti di potere. Non sono certo gli spot e gli annunci a cambiare le cose».

Rispetto al passato, per certi versi, ci sono stati dei miglioramenti: un dibattito come quello odierno, forse, trent’anni fa non sarebbe stato possibile. E, inevitabilmente, si volge il ricordo alle vittime di mafia: i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma anche gli uomini della scorta, l’ispettore Giovanni Lizzio, il giornalista Giuseppe Fava e tutti coloro che hanno perso la vita per fare il proprio dovere, oggi citati nell’intervento del pm Sebastiano Ardita.

Intervento dai toni concreti quello del magistrato Nicola Gratteri, che si è concentrato sulla necessità di una maggiore speditezza delle notifiche processuali, puntando sull’informatizzazione dei dati, su un intervento mirato in tema di prescrizione e soprattutto sull’esigenza di un trasferimento a Roma dell’Agenzia dei beni confiscati alla malavita, attualmente con sede decentrata a Reggio Calabria. Gratteri evidenzia un mutamento preoccupante nei rapporti tra mafia e politica: «Ieri erano i mafiosi ad andare a casa dei politici, oggi sono questi ultimi a fare le visite per chiedere i voti», afferma. Una realtà che sottolinea la sinergia senza soluzione di continuità tra criminalità e pezzi della politica. Una politica che, spesso e volentieri, ostacola le indagini dei magistrati con provvedimenti opinabili.

In particolare è Saverio Lodato a fare riferimento all’emendamento proposto dalla Lega e approvato ieri alla Camera, concernente la responsabilità civile diretta dei giudici, una norma inesistente in qualsiasi altro Paese europeo: «Questo è un vero e proprio regolamento dei conti della politica nei confronti dei magistrati», dichiara il giornalista.
«Non è un caso che il qui presente Nicola Gratteri non sia poi diventato ministro della Giustizia italiana», conclude critico.

Tanto il lavoro fatto finora, ma è ancora troppo lungo il tragitto da percorre, soprattutto alla luce delle parole desolanti del pm Di Matteo: «Le cose non solo sono cambiate, sono peggiorate», confessa con rammarico. «Confido nei cittadini – conclude – perché nutrono grande fiducia verso i giudici e dedicano la loro attenzione all’antimafia prima che accadano le stragi. E’ un segno di maturazione e consapevolezza e costituisce uno scudo ulteriore per la sicurezza di noi magistrati».


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