Il tribunale di Catania non ha convalidato il trattenimento di sei migranti a Pozzallo, disposto dal questore di Ragusa. Il provvedimento è stato adottato dal giudice Rosario Cupri. Si tratta di un collega della magistrata Iolanda Apostolico, che è finita nella bufera per non avere convalidato il trattenimento nel Cpr di Pozzallo di quattro migranti disapplicando il decreto del governo. I migranti sono assistiti tre dall’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro e altri tre dal legale Fabio Presenti. I sei distinti provvedimenti del giudice Cupri, secondo quanto si apprende, sono sostanzialmente sovrapponibili tra loro per la similitudine dei casi.
Uno dei procedimenti riguarda un 37enne tunisino sbarcato il 3 ottobre a Lampedusa e poi trasferito a Pozzallo. Nel caso specifico il giudice sottolinea, ricordando una decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea, come «il trattenimento di un richiedente protezione internazionale» costituisca «una misura coercitiva che priva tale richiedente della sua libertà di circolazione e lo isola dal resto della popolazione, imponendogli di soggiornare in modo permanente in un perimetro circoscritto e ristretto. Ne discende – osserva – che il trattenimento costituendo una misura di privazione della libertà personale è legittimamente realizzabile soltanto in presenza delle condizioni giustificative previste dalla legge».
E ricorda che anche la Corte di Cassazione ha stabilito che «la normativa interna incompatibile con quella dell’Unione va disapplicata dal giudice nazionale». Il tribunale sottolinea che «la richiesta di protezione internazionale non è soggetta ad alcuna formula sacramentale» e che nel caso del 37enne tunisino la sua domanda «doveva essere esaminata al suo ingresso alla frontiera di Lampedusa» e la sua richiesta «sottoscritta a Ragusa non può essere trattata come procedura di frontiera». «Come già affermato da precedenti decisioni di questo tribunale in procedimenti di convalida di trattenimenti riguardanti cittadini tunisini e le cui motivazioni sono condivise da questo giudicante – osserva ancora il giudice Cupri – la norma prevede una garanzia finanziaria che non si configura, in realtà, come misura alternativa al trattenimento bensì come requisito amministrativo imposto al richiedente prima di riconoscere i diritti conferiti dalla direttiva del 2013, per il solo fatto che chiede protezione internazionale».
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