Si è concluso con un nulla di fatto il braccio di ferro tra Governo, azienda e sindacati sulla vertenza Almaviva, con un confronto ormai in stallo e rinviato a data da destinarsi. Al termine dell’ incontro di ieri al Mise, durato tutto il pomeriggio e proseguito fino a tarda notte, non è stata fissata una nuova data che, tuttavia, dovrebbe arrivare prima del 5 giugno: in assenza di un accordo, infatti, potrebbero partire i primi licenziamenti. Nel frattempo i sindacati, per mantenere alta l’attenzione sulla vertenza e scongiurare i 2988 licenziamenti annunciati dall’azienda su scala nazionale, si preparano per lo sciopero nazionale stabilito da Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil per venerdì prossimo, alle ore 10 a piazza Santi Apostoli, nella Capitale.
Un percorso che appare in salita e con pochissimo tempo a disposizione, con il Governo nazionale e azienda arroccati sulle proprie posizioni, cambiate di pochissimo rispetto all’ultimo incontro. Da un lato Almaviva che, in assenza di riforme strutturali di settore, ha dichiarato di proseguire con le procedure di mobilità. Dall’altro l’Esecutivo che ieri, tra le soluzioni studiate nel frattempo, ha messo sul piatto sei mesi di cds di tipo B previsti dalle norme e altri 12 mesi di cassa integrazione in deroga; poi con fondo residuale istituito da legge Fornero, altri 18 mesi di ammortizzatori sociali con stesse caratteristiche della cassa integrazione. Una soluzione per salvare i dipendenti, ma anche per dare tempo al Governo di regolare il settore come richiesto da tempo da parti sociali e azienda.
Nel tavolo di settore, infatti, sono stati fissati tra gli obiettivi l’istituzione di un fondo per l’innovazione, il rispetto del contratto collettivo nazionale – l’esclusione di contratti privati – come condizione economicamente più vantaggiosa nei bandi di gara. L’aspetto più interessante, vedrebbe il Governo impegnato in una azione di moral suasion nei confronti delle aziende committenti, perché le clausole sociali siano applicate come prevede il codice degli appalti, con un accordo tra le parti e non con delega a un decreto. E in particolare, contro le violazioni dell’articolo 24 bis, è allo studio un emendamento che prevede un inasprimento della sanzione (dai 10 mila euro al giorno ai 10 mila euro a chiamata), con la la responsabilità in solido tra committente e outsourcer e sanzione per entrambi.
Proposte che al momento, tuttavia, sono solo sulla carta: manca la certezza sui fondi annunciati dal Governo per coprire la cds e la cig, e non si capisce perché fino a oggi non si sia vigilato sulla corretta applicazione delle norme già esistenti che regolano il settore. Almaviva al momento, ribadisce che a fronte dei problemi strutturali dell’azienda, della continua perdita mensile di 1,5 milioni di euro e del rifiuto dei lavoratori alla proposta di accordo, non vede altra soluzione che andare avanti coi licenziamenti. Difficile prevedere, in questo momento, un punto di incontro tra le parti: non rimane che attendere il prossimo incontro al Mise che probabilmente, sarà anche l’ultimo primo del 5 giugno.
«Serve un coordinamento tra tutte le istituzioni: Stato, Regioni e Comuni per scongiurare questo disastro – ha detto dice il segretario provinciale della Slc Cgil di Palermo Maurizio Rosso -. Credo che le tre Regioni investite dalla crisi Almaviva devono mettere in campo misure per andare incontro all’azienda e scongiurare i licenziamenti».
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