Il terremoto a largo dell'isola di Zacinto, in Grecia, ha provocato un'onda di dieci centimetri. «Una prima classificazione si fa con i dati sulla magnitudo, poi si osservano i mareografi», spiega a MeridioNews Alessandro Amato dell'Ingv di Roma
Allerta tsunami, quando serve scappare e come si misura Esperto: «L’impatto dipende dal movimento della faglia»
L’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha diramato un’allerta tsunami dopo il terremoto di magnitudo 6.8 che si è registrato stanotte alle 0.54 in Grecia, con epicentro in mare a dieci chilometri di profondità a largo dell’isola di Zacinto. La scossa è stata avvertita in tutto il Sud Italia, in particolare in Sicilia, Calabria e Puglia. Il terremoto e la relativa rottura della faglia hanno fatto salire il livello del mare di un massimo di dieci centimetri nei porti italiani. Nelle coste siciliane la quota massima raggiunta dalle onde è stata di tre-quattro centimetri. L’allerta è poi rientrata nelle prime ore della mattinata.
Ma come funziona la scala di allerta tsunami e cosa significa il colore arancio? «Nel nostro centro in Italia e in tutto il Mediterraneo ci sono tre livelli di classificazione del fenomeno – spiega a MeridioNews Alessandro Amato del Ingv di Roma – un primo è denominato Information (Informazione, ndr), non è una vera e propria allerta ma una semplice comunicazione che si fornisce nel caso in cui non ci si aspettano tsunami. Gli altri due livelli sono definiti con un colore – continua il sismologo – arancione (intermedio) o rosso (elevato) che rappresentano una previsione dell’altezza dell’onda: nel primo caso, si attesta sotto un metro sul livello del mare, mentre nel secondo le onde supererebbero quella soglia».
Si tratta di una schematizzazione fatta nei primi minuti successivi al fenomeno. «Ci basiamo – illustra Amato – sui dati della magnitudo del terremoto in mare che sono disponibili già quasi nell’immediato». In questo caso, l’allerta arancione è stata diramata appena otto minuti dopo la scossa. L’avvertenza,da parte del Centro allerta tsunami dell’Ingv, era di stare lontani dalle spiagge lungo le coste di Sicilia (mar Ionio), Calabria, Basilicata e Puglia. Territori che rientrano nel raggio di 400 chilometri dall’epicentro. «Nei casi di classificazione arancio non c’è bisogno di evacuare ma occorre comunque prestare attenzione perché, se arrivasse un’onda di tsunami di mezzo metro o anche di poche decine di centimetri di altezza, potrebbe fare grossi danni alle strutture e alle persone sulla costa, a causa delle caratteristiche di velocità». Per le coste delle Isole della Grecia, come Zante, invece, l’allerta era rossa. Obbligatorio far allontanare le persone.
Dopo una stima iniziale fatta con i primi dati disponibili sulla magnitudo del terremoto – che possono subire variazioni anche molto forti – si passa all’analisi dei dati dei mareografi, strumenti che registrano le variazioni del livello del mare e ne stabiliscono il valore medio in un determinato luogo e periodo. «In questo caso – racconta Amato – si vedeva una piccola variazione di dieci centimetri molto chiara che dopo circa un’ora è arrivata alle coste italiane». Più è alta la magnitudo del terremoto più grande è la faglia, ovvero la zona che si deforma, e quindi proporzionalmente più sale anche l’altezza dell’onda. «Quello che fa la differenza, però – precisa il sismografo – è il tipo di movimento della faglia: se è verticale, l’impulso dell’acqua e la propagazione delle onde è più forte; se invece il movimento è orizzontale (come nel caso di questo terremoto, ndr) lo spostamento della massa d’acqua è inferiore». Sono dati che non è possibile valutare nei primi minuti successivi all’evento sismico.
L’area mediterranea è interessata da eventi sismici o vulcanici che generano tsunami circa una volta ogni cento anni. Tra i più devastanti ci sono quelli del 1169 e del 1693 che seguono potenti scosse telluriche generate dalla faglia ibleo-maltese. Impetuose onde si abbattono sui litorali della Sicilia orientale, tra Catania e Portopalo di Capo Passero (nel Siracusano). Ancora più potenti gli episodi che investono le coste tirreniche della Sicilia (e della bassa Calabria) durante la crisi sismica del 1783, una sequenza di terremoti molti violenti. Lo tsunami colpì Messina e Reggio Calabria. L’evento storico più vicino nel tempo è quello del 28 dicembre del 1908: un terremoto di magnitudo 7.2 con epicentro nello Stretto distrugge il capoluogo peloritano e Reggio Calabria. La distruzione di Messina viene aggravata da uno tsunami con onde alte diversi metri.