Aldo Ercolano, 41bis revocato già a settembre Si trova in un carcere di sicurezza in Sardegna

Detenuto comune da diversi mesi. Aldo Ercolano, il boss ergastolano condannato per essere il mandante dell’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, avvenuto a Catania nel 1984, non è più sottoposto al regime del carcere duro dal 19 settembre 2014. Periodo in cui il Tribunale di sorveglianza di Roma ha revocato il regime detentivo nato per isolare le comunicazioni verso l’esterno o con altri uomini appartenenti alle associazioni criminali. A tornare sulla vicenda attraverso un’interrogazione al ministro della Giustizia Andrea Orlando è il deputato catanese Claudio Fava, figlio del giornalista Giuseppe. Il vice presidente della commissione parlamentare antimafia spiega come «non si comprende quali elementi abbiano potuto determinare, in così pochi mesi, una revisione radicale del giudizio sulla pericolosità dell’Ercolano». Revisione che però va avanti da tempo a fasi alterne e risale a mesi fa. «Si sta utilizzando lo strumento politico e le istituzioni della Repubblica per danneggiare Ercolano e i suoi familiari», risponde l’avvocato del boss.

Nipote del sanguinario boss Benedetto Santapaola, Aldo Ercolano è il figlio del defunto Pippo. Cognomi uniti sia dal vincolo parentale – fu proprio il padre di Aldo a sposare una sorella di Benedetto – ma anche dall’egemonia mafiosa che ha portato i Santapaola-Ercolano al vertice della cupola di Cosa nostra per la Sicilia orientale in uno strettissimo legame con i corleonesi di Totò Riina. Nel 2014 il regime del carcere duro ad Aldo Ercolano è stato revocato già due volte. Prima alla fine del mese di marzo per poi essere riapplicato all’inizio di aprile, e successivamente a settembre, dopo che venne accolto il ricorso della difesa. Proprio da questo periodo il nipote di Santapaola è un detenuto comune all’interno dell’istituto di reclusione di Nuchis, piccola frazione nel comune di Tempo Pausania in Sardegna. Nel carcere gallurese vengono ospitati soltanto detenuti con condanne definitive superiori a dieci anni in regime di alta sicurezza: camorristi, affiliati della ‘Ndrangheta calabrese e boss di primo piano di Cosa nostra, tra cui proprio Aldo Ercolano.

Già in passato, dopo il 1994, quando venne arrestato a Desenzano sul Garda, in provincia di Brescia, Ercolano aveva goduto di svariati periodi di detenzione comune. Le revoche al 41 bis erano infatti arrivate nel 2010 e nel 2011 con i conseguenti ricorsi in corte di Cassazione da parte del ministero della Giustizia e della Direzionale nazionale antimafia, l’organo della Procura generale che si occupa anche delle impugnazioni davanti ai giudici ermellini. A far emergere nuovi elementi che, secondo Fava, dimostrerebbero l’attualità del ruolo di capo della famiglia mafiosa catanese di Ercolano sarebbero le indagini scaturite da due operazioni antimafia coordinate dalla Procura di Catania. Nel 2013, il blitz denominato Reset, che sgominò Cosa nostra nei quartieri Civita e Stazione, e per ultima l’operazione Caronte, in cui tra gli arrestati comparve pure il nome del fratello di Aldo, Enzo Enzuccio Ercolano, ritenuto dagli uomini del Ros dei Carabinieri «il principale esponente dell’organizzazione», forte «di uno spessore criminale elevatissimo».

«Si sono acquisite intercettazioni telefoniche – si legge nell’interrogazione, facendo riferimento all’operazione Reset – trasferite poi negli atti del procedimento, da cui risulta in modo inequivocabile che Aldo Ercolano è tuttora il capo mafia di Catania e che nel corso di una riunione delle cosche catanesi che fanno riferimento alle famiglie Santapaola-Ercolano, al nome di Aldo Ercolano, indicato come l’attuale referente di Cosa Nostra, sarebbe partito tra gli affiliati un lungo applauso». A raccontare l’episodio, ignaro di essere ascoltato, era Cristofaro Romanocondannato da alcune settimane a 20 anni di carcere proprio nell’ambito del processo Reset perché ritenuto uno degli elementi di vertice di Cosa nostra nei quartieri storici della città. Il giovane genero del capomafia Giuseppe Zucchero, raccontava ad alcuni presenti uno sorta di tributo che venne riservato a Benedetto Santapaola e Aldo Ercolano: «A capo di tutti quelli che siamo qua dentro – spiegava al suo interlocutore nell’intercettazione – portiamo il nome dello zio [..] il nome è uno solo o il suo o di Aldo e niente, c’è stato il colpo dell’applauso».

A puntare il dito contro Fava è invece il difensore di Ercolano, l’avvocato Fabio Federico: «Trovo inquietante – spiega – che si rilevino atti coperti dal segreto investigativo e riguardanti indagini della Dda di Catania relative al procedimento Caronte ancora in corso. Spero che l’autorità giudiziaria intervenga per tutelare il detenuto Aldo Ercolano da una vera e propria persecuzione, nonostante provvedimenti di legge per lui positivi, confermati ripetutamente in Cassazione, che hanno conclamato la sua totale mancanza di pericolosità di collegamento con la criminalità organizzata».


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