Nelle carte delll'inchiesta Jungo il ruolo di Giuseppe Andò, storico ambulante che avrebbe celato dietro l'attività un ruolo di prim'ordine negli affari criminali. Con lui il nipote Alessandro, custode di un taccuino con cui avrebbe schedato i votanti
Al banco della mafia. Così i Brunetto gestivano Giarre Minacciata impiegata del Comune. Vittime in silenzio
Anche il rinnovo del patentino per la raccolta dei funghi sarebbe servito per imporre la supremazia mafiosa nel territorio di Giarre. Lo hanno scoperto i carabinieri nel corso delle indagini scaturite nel blitz Jungo di ieri, operazione che ha smembrato il clan Brunetto. Attivo nella zona ionica come articolazione della famiglia di Cosa nostra catanese dei Santapaola-Ercolano. Un ruolo chiave sarebbe stato quello ricoperto dal 59enne Giuseppe Andò, da tutti conosciuto con l’appellativo di Pippo il cinese. Da una vita venditore ambulante di frutta nei pressi del casello autostradale di Giarre. Da quella postazione, nei pressi di un noto chiosco, avrebbe gestito gli affari del clan e controllato il territorio alla vecchia maniera.
Scorrendo le pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, notificata ieri a 46 persone, a emergere è il misto di paura e omertà che attanagliava le vittime del clan. Per anni nessuno ha denunciato. E il coraggio non lo hanno trovato nemmeno tre dipendenti del Comune di Giarre, convocati in caserma dai carabinieri il 28 agosto 2018 per ricostruire una visita in municipio di Andò e di Andrea Leonardi. «Hanno dichiarato falsamente – si legge nei documenti in riferimento alla posizione degli impiegati pubblici – di non avere avuto nessuna discussione e nessun litigio in ufficio la mattina precedente».
Lo spartito che raccontano le intercettazioni ambientali offre uno spaccato fatto di spintoni e di una presunta aggressione per ottenere, senza pagare la trentina di euro necessaria, il rinnovo del tesserino che consente di raccogliere i funghi. «Paghiamo, ma senza soldi», ripeteva Andò rivolgendosi a una donna, sicuramente un’impiegata. La vittima implorava l’ambulante: «Piano, piano per favore». L’indomani però di quelle suppliche non c’è traccia davanti i carabinieri.
Intercettazioni e un trojan istallato nello smartphone di Leonardi hanno messo insieme i tasselli di altre estorsioni. Nel mirino del gruppo un bar sul lungomare di Fondachello, frazione di Mascali, una concessionaria Peugeot e un noto pub lungo corso Messina, a Giarre. I titolari sono stati intercettati dalle microspie piazzate all’interno della sala d’attesa della Compagnia dei carabinieri. «No, non dire niente. Non c’è bisogno. Così stiamo in pace. Stiamo tranquilli», diceva uno dei soci. Pochi minuti dopo, le vittime del clan fanno scena muta davanti i militari.
Tra i giovani rampolli della mafia ionica gli inquirenti individuano la figura di Alessandro Andò, nipote di Pippo. Secondo gli inquirenti il 29enne era il vertice dei Brunetto nella gestione dello spaccio di droga. Oltre a rifornire i pusher nel quartiere Jungo, Andò si sarebbe occupato della «simanata», cioè degli stipendi. I carabinieri ricostruiscono trattative per comprare la droga ma anche singole vendite di stupefacenti in cui capita pure che qualcuno paghi la marijuana con una ricarica PostePay. Uno degli aneddoti legati al nipote del venditore ambulante ruota attorno a un grosso sequestro di armi e droga durante una perquisizione a casa nel 2018. In quel frangente i carabinieri trovarono un quaderno contenente un elenco di seggi elettorali a cui erano affiancati i nomi di alcuni residenti del quartiere: «Una sorta di schedatura dei votanti – si legge nell’ordinanza – per controllare il voto».