Al balcone della vita

“Riccardo, indicare una soluzione, lo confesso, va al di là delle mie capacità attuali. Le soluzioni dovete trovarle voi. Voi, le nuove generazioni che si affacciano con curiosità, speranze, sogni al balcone delle proprie vite, siete voi che dovete assumervi le vostre responsabilità. Smettere di parlare e dolervi e cominciare a lavorare sul serio per dare vita ad un cambiamento reale”. Scriveva così il direttore Escher in risposta a una mia lettera dopo il baratro di Catania con l’omicidio Raciti.

Era il febbraio del 2007 e il direttore era disilluso da un po’ ormai, non credo dipendesse solo dalla sua salute, credo piuttosto dallo stato in cui versava la sua categoria, il giornalismo, la sua città, la degenerazione, la vita tutta. Veniva in redazione un po’ ammaccato e triste per questo, poi però lanciava una battuta delle sue, allora ridevamo un po’ con lui e un po’ anche di lui e delle sue bretelle da combattimento. Quanto era spettinato il direttore la notte delle elezioni politiche del 2006! La redazione di Step1 al gran completo che fino alle 4 di notte snocciolava dati ministeriali, percentuali di voto, seggi scrutinati e patatine.

Qualcuno da dietro un pc urlò: “cavolo, direttore, Berlusconi è passato in vantaggio” e allora lui dall’equilibrio della sua sedia, schizzò come un gatto inviperito. Era una burla che Escher accompagnò con una tirata d’orecchie e diverse smorfie. In quel 2007, il direttore mi scrisse di aver fallito nel suo ruolo di guida intellettuale: “lo confesso con amarezza” – disse. Poi se andò da Step1. E partii anche io, lontano da Catania. Non lo vidi più e fu spiacevole. Perché non eravamo riusciti a convincerlo che non aveva fallito, almeno con noi; che il suo Step1 divenne per la prima volta una redazione, che anche se ancora portavamo denti da latte giornalistici, stavamo imparando, da lui. Dalla sua ironia e lucidità di sguardo.

Fu spiacevole, perché Escher con noi non solo non aveva fallito, ma ci aveva infarcito il petto del piacere di scrivere. E certo, lo facevamo esasperare con quantità industriali di recensioni e pullulare di rubriche di cui provava “una decisa e immodificabile idiosincrasia” – come diceva ironizzando. Ma erano quegli errori che, una volta limati, hanno reso lo Step1 di ora un giornale migliore.

Ciao, direttore.


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La faccia del direttore spettinato, dopo una maratona elettorale durata fino alle 4 del mattino. L'amarezza del giorno in cui ci confessò la sua delusione e ci disse di aver fallito. Ma si sbagliava: verso di noi non aveva fallito. Perché ci aveva insegnato a cercare le nostre risposte, senza aspettarle dagli altri. Perché ci aveva regalato il piacere di scrivere. E perché, proprio grazie a lui, stavamo diventando una redazione…

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