Solcano le scene da 24 anni, ma si definiscono «nati oggi». La band nata a cavallo tra le stragi di Capaci e via D'Amelio in un box a Pallavicino, protagonista della scena underground palermitana e in prima linea per la liberazione di «spazi liberi per l’espressione creativa»
Airfish, i decani della musica indipendente cittadina «Politica e sperimentazione con Palermo come musa»
«Arfish nasce nell’estate del 1992, a metà strada tra la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio, tanto temporalmente quanto geograficamente, visto che la nostra base fu all’inizio, e poi ancora a più riprese per vent’anni, il box di Pallavicino, Palermo Nord. L’idea è quella di suonare musica sperimentale, influenzata dal dark punk, dal metal, dall’elettronica e dal free jazz. Vogliamo essere qualcosa di nuovo, e abbiamo l’ambizione di essere il miglior gruppo della scena, sparigliando le carte». Si presenta così Rodan Di Maria, musicista, cultore del supporto vinilico, membro fondatore della compagine di cui vi racconteremo.
Nell’esatto momento in cui l’ondata del primo punk hardcore, del primo metal, decide di allontanarsi con un briciolo di cognizione e una forte voglia di scoperta, dal proprio percorso, nascono, all’inizio degli anni ’90 a Palermo alcune nuove realtà sperimentali, raccoglitori carichi di idee, motori attivi di stravolgenti fantasie. Quando si parla di musica sperimentale a in città, bisogna aver chiaro che uno dei punti di riferimento di maggiore importanza sono gli Airfish. «Avevamo diciott’anni – continua Di Maria – svariati problemi personali, venivamo dal metal avendo già individualmente iniziato un percorso di emancipazione. Rivendico la nostra origine e appartenenza all’humus culturale e al fugace momento di prospettiva politica rappresentato dal movimento degli squat e dei centri sociali. Nel 1994 fummo in prima linea per la ri-occupazione del Montevergini, e nel 1996 facemmo di Palazzo Jung casa nostra, col nome di Da Hausa».
«La nostra era certamente un’urgenza politica legata soprattutto allo sviluppo di spazi liberi per l’espressione creativa, un’azione diretta contro la repressione culturale vigente a Palermo – racconta il musicista – Se la nostra musica ha sempre cercato di esplorare i nostri limiti tecnici, il nostro subconscio e l’approfondirsi del nostro legame con l’ambiente che ci circonda, dal punto di vista dell’azione e della produzione ci siamo sempre sentiti vicini all’etica DIY e alle scene metal, punk ed elettroniche più radicali. Per questo ognuno di noi individualmente, e tutti insieme come band, abbiamo sempre cercato di stare vicino alle realtà che anno per anno si sono proposte sulla scena. Che si tratti di organizzare concerti, stampare dischi, fare i fonici, prestare strumenti o capacità strumentali, scaricare cassette di birra, cerchiamo sempre di essere in prima linea, perché crediamo nell’auto-organizzazione e nella cultura dal basso».
Troppe volte ci si è imbattuti in dibattiti di questo tipo e troppe volte non si è giunti a un punto d’incontro tra chi non pratica e chi invece vive questa sfera sociale ancora così distante e misteriosa. Sarà un caso, ma la sperimentazione musicale messa in pratica dagli Airfish, ascoltare per credere, riesce in modo astruso e talvolta complicato a demolire ogni stereotipo standard rispetto a generi come l’elettronica, il metal stesso o la wave, creando un miscuglio, un amalgama auditiva che sicuramente in un primo momento spiazza (proprio come potrebbe essere il primo punk), ma che, se percepito con attenzione riesce a trasmettere un concetto forte.
Da Around The Fish, cassetta pubblicata nel lontano 1992 al più reecente Anarchy In Italy pubblicato nel 2011, passando per Varcare La Soglia Della Speranza edito nel 1999, il gruppo ha solcato palchi, luoghi, strade, momenti, lasciando non un ombra ma una cicatrice netta. «Tutti gli insiemi hanno dato risultati soddisfacenti secondo me – continua Rodan Di Maria – Cerchiamo sempre di aggiungere una dimensione relazionale più profonda e spirituale al semplice coinvolgere dei musicisti che stimiamo in un nostro progetto. Abbiamo dei precisi rituali d’iniziazione per chi entra a fare parte della line-up in maniera più stabile. Ovviamente non posso rivelarli. Esistono nel tempo due formazioni alle quali sono rimasto più legato: quella del periodo 1994/1995 (io, Pietro Palazzo, Andrea Gangemi, Federico Cardaci, Freddie Di Matteo, Gianni Gebbia, Fulvio Di Piazza) e quella del periodo 1998/2003 (io, Pietro Palazzo, Federico Cardaci, Marco Monterosso, Domenico Salamone, Giampiero Di Stefano, Manfredi Bisanti). Qual è la nostra fonte d’ispirazione? Palermo. Non credo esista scenario culturale più variegato al quale attingere per produrre musica figurativa e concettuale. Poi chiaro che le varie release hanno ispirazioni diverse, anche per la loro distribuzione temporale».
E se gli Airfish nascessero oggi? «Ma noi siamo nati oggi! Altrimenti non potremmo essere nati ventiquattro anni fa ed essere ancora in giro. Ci piace ricominciare sempre da zero. Ogni volta che cambiamo o aggiungiamo un musicista, ricostruiamo un repertorio, senza mai suonare quello che suonavamo prima con altre persone. Ogni insieme di persone/musicisti ha un senso magico, e noi cerchiamo di scoprirlo ogni volta. Oggi creeremmo un’etichetta indipendente e la chiameremmo Qanat Records. Magari le affiancheremmo un progetto artistico di respiro più ampio, e lo chiameremmo QAMM (Qanat Art Music Media). Oggi saremmo delusi di come la generazione precedente di musicisti, tra cui Airfish, abbia fallito nel creare strutture stabili ed affidabili per la libera musica in città, e ci impegneremmo a fondo per realizzarle. Oggi saremmo più tempo per strada e meno tempo su internet».