“Aiesthesis/ Percezioni”, una bella stagione

“La menzogna scende a patti con il vero
lo spirito dà forma al mito” (Valery)

di Cettina Vivirito

Se il Teatro è in crisi, la celebrazione del 27 marzo 2014 della “Giornata mondiale del Teatro” fa bene al cuore, a quello di chi ama quest’Arte così antica, così speciale.

Istituita a Vienna nel 1961 nel IX Congresso mondiale dell’Istituto Internazionale del Teatro, dal 27 marzo 1962 la Giornata è celebrata dagli Istituti Nazionali del Teatro che esistono in tutto il mondo, ai fini di ” incoraggiare gli scambi internazionali nel campo della conoscenza e della pratica delle Arti della Scena, stimolare la creazione ed allargare la cooperazione tra le persone di teatro, (…), approfondire la comprensione reciproca per partecipare al rafforzamento della pace e dell’amicizia tra i popoli, associarsi alla difesa degli ideali e degli scopi definiti dall’U. N. E. S.C.O.”

Ogni anno, una personalità del mondo del teatro è invitata a condividere le proprie riflessioni sul tema del Teatro e della Pace tra i popoli. Questo, che viene chiamato “il messaggio internazionale”, è tradotto in diverse lingue ed è, poi, letto davanti a decine di migliaia di spettatori prima della rappresentazione della sera nei teatri del mondo intero, stampato su tutti i quotidiani e diffuso da radio e televisioni sui cinque continenti.

Jean Cocteau fu l’autore del primo messaggio internazionale, nel 1962.

Si tratta di una manifestazione nell’ambito della quale, dopo la lettura del messaggio nei teatri, segue il vero e proprio festival con rappresentazioni eccezionali, simposi e tavole rotonde, inaugurazioni di nuovi teatri, distribuzione gratuita di biglietti per gli spettacoli; conferenze, balli popolari, kermesse, feste, sfilate, persino l’edizione di un francobollo speciale; rappresentazioni e raccolte pubbliche di denaro per gli Enti che il Teatro lo dispensano per beneficenza.

Per questa Giornata Mondiale del Teatro 2014, il bellissimo Messaggio di Brett Bailey:

“Ovunque ci sia una società umana, lo spirito irrefrenabile del teatro si manifesta. Sotto gli alberi nei piccoli villaggi, sui palchi tecnologicamente avanzati nelle metropoli internazionali; nelle palestre scolastiche e nei campi e nei templi; nelle baraccopoli, nelle piazze, nei centri di quartiere e negli scantinati del centro città, le persone sono portate a condividere gli effimeri mondi del teatro che noi creiamo per esprimere la nostra complessità umana, la nostra diversità e la nostra vulnerabilità, con il corpo, il respiro e la voce .Ci riuniamo per piangere e per ricordare, per ridere e per contemplare; per imparare e affermare ed immaginare. (…) Per afferrare il nostro respiro collettivo e la nostra abilità nel produrre la bellezza e la compassione e la mostruosità. (…).

“Nel nostro tempo, in cui si riflettono le cose al posto di riflettere sulle cose, anabolizzati come siamo da piccoli pensieri, piccoli giudizi, piccoli slogan, piccoli intrattenimenti, ci ripariamo nei luoghi comuni, gli atteggiamenti tutti uguali che non raccontano l’essere umano ma che semplificano le relazioni senza alcuna profondità. In quest’ epoca in cui tanti milioni di persone stanno lottando per sopravvivere, stanno soffrendo sotto regimi oppressivi, sono in fuga dai conflitti e dal disagio, un epoca in cui il nostro diritto alla riservatezza è invaso dai servizi segreti e le nostre parole sono censurate da governi invadenti, in cui le foreste vengono distrutte, le specie animali sterminate e gli oceani avvelenati: cosa ci sentiamo in dovere di difendere del “Teatro”?

Per Monica Guerritore vogliamo salvare il nostro bisogno del “racconto”, la volontà di guardare noi stessi attraverso la rappresentazione che ne fanno gli attori tramite l’analisi che ne traccia l’autore; per non rimanere per sempre in superficie.

Ma cos’è questo “racconto”?

Un racconto è quello di Brecht:

“Un tale incontra K. e gli fa: – Sono vent’anni che non ti vedo, lo sai che non sei cambiato per nulla?”. Commenta poi Brecht che il signor K. andò a casa e si mise a fissarsi allo specchio terrorizzato e pallido, pensando all’orrore di non essere cambiato per nulla. Di essere rimasto sempre lo stesso.

“In teatro l’Arte è un divenire senza margini, rispecchia quello di ogni essere umano, ne coglie l’attimo. Il teatro è un luogo dove il tempo ha un altro tempo. Scrive Elio Franzini: “Fermando il tempo, riconquistando il valore del tempo, possiamo sfuggire ai dettami del collettivo che impongono di essere qualcosa senza pensiero. Ma io voglio il tempo per interrogare, curiosare, argomentare, mettendomi al riparo da consensi spicci. Non voglio farmi catturare.Voglio tenere ben oliati gli strumenti per elaborare un pensiero individuale e potermi fidare della mia propria capacità di percezione , del mio sentire. Voglio pensare. Il teatro è la mia palestra”.

Un racconto è quello che fa Pietro Citati “interpretando” Proust:

“Un giorno molto prima di iniziare la stesura della Recherche, Proust scoprì di essere ’un luogo’.

Mentre errava per la campagna scoprì un vasto antro nascosto al resto della valle dove nessuno era mai disceso che l’assoluto silenzio aveva mantenuto nella solitudine. Lui era quel luogo; una creatura diversa da tutte le altre senza rapporti con nessuno, senza affinità con nessuno. Comprese che doveva scendere in quell’antro tenebroso se voleva scrivere un libro. Vi scese e scoprì che quell’antro isolato era il centro della terra e aveva un rapporto con tutti gli altri punti del mondo.

Piano piano le cose che maturavano in quel luogo lui le avrebbe portate alla luce (…)”.

Il Teatro, quel luogo che Keats chiama “la valle del fare Anima” diventa strumento, metodo per “raccontare” le ombre del mondo, smettendo di subirne l’impatto visivo. La sala buia, la vicinanza silenziosa con altri esseri umani, la presenza e l’assenza, un lavoro così intimo eppure così collettivo, un processo alchemico che trae il suo fine dal tempo impiegato nel processo stesso.

Questa capacità di “percezione”, di ascoltare il racconto del “pubblico” è risultata del tutto evidente nell’armoniosa, equilibrata e bella stagione teatrale del Teatro Beniamino Joppolo di Patti, “Aiesthetis”, appunto, “Percezioni”, che ha dato straordinarie prove di sè, prima ancora che con il cartellone, con la fede di quanti l’hanno fortemente voluta, in prima persona il Sindaco Mauro Aquino e la Direttrice del Festival di Tindari Anna Ricciardi, e con il loro “racconto”.

La prima cosa da raccontare è la sua nascita, fatta esclusivamente con i fondi del teatro comunale, sponsor locali, nessun finanziamento esterno; eppure, rassegna di altissima qualità, fatta di prosa e musica, curata da Chiara Pollicita.

Dallo spettacolo “classico”, che in quanto tale ci parla eternamente con franchezza, ovvero Renato Campese nel “Macbeth” liberamente tratto da Shakespeare, con la regia messinese di Stefano Mollica, andato in scena lo scorso 23 gennaio, alla Chitarra Danzante di Nicola Oteri del 6 febbraio, viaggio di suggestione e mistero con note intrise delle reminiscenze barocche della musica spagnola; al “Bell’Antonio” di Vitaliano Brancati, con Andrea Giordana e Giancarlo Zanetti, all’omaggio alla città di Palermo e alla memoria di Franco Scaldati con il suggestivo dialogo “Totò e Vicè” interpretato da Diablogues e con la regia di Stefano Randisi, per arrivare agli inizi di marzo con un Massimo Dapporto affidabilissimo e capace d’interpretare un “Ladro di razza” (regia Mattolini con Susanna Marcomeni).

Dulcis in fundo, nel giorno mondiale del teatro, una splendida esecuzione di Fausto Mesolella che con il suo concerto “Live ad Alcatraz” ha diluito sugli spettatori la sua dose di grande bellezza musicale. E’ proprio la musica mediterranea che ha fatto da promenade per quella viene definita la trilogia siciliana Brancati-Scaldati-Cerami, “stelle della drammaturgia contemporanea e figli della nostra terra” come li ha affettuosamente definiti la stessa Anna Ricciardi; “rappresentano l’identità artistica di questa stagione, l’Aisthesis più profonda”. Ci restano da vedere una commedia che sarà messa in scena dalla Compagnia Il Sipario, “Il morto assicurato”, con la regia di Bisagni; e il 30 aprile “Dormi che è ancora notte”, omaggio a Vincenzo Cerami, per la regia di Simone Petralia.

Il 22 maggio chiuderà la stagione invernale del Tyndaris Festival con “Paesaggio umano”, un progetto di Patrizia Bellitti e Giuseppe Pucci Romeo a cura di Gymnica Contempodanza, percezione da capogiro che inaugurerà l’estate siciliana, quella nebroidea in particolare, percepibile lungo la costa greca.

“Sullo sfondo di una crisi prosciugante” ha dichiarato Anna, “di una sofferenza culturale palpabile, la vivacità delle proposte, il riconoscimento e l’apprezzamento degli artisti e l’interesse caloroso del pubblico ci commuove, ci incoraggia, ci fa sperare, ci spinge ad andare in profondità, a sentire attraverso quella percezione dei sensi che i greci chiamavano “Aiesthetis”: fiutare, restare senza fiato, ritrovare la propria essenza”.

 


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