Agricoltura sociale, Semina libertà all’istituto Malaspina «Maggiore sensibilità nei confronti del disagio giovanile»

«Questo è un progetto a cui teniamo molto perché l’agricoltura sociale è un modo per garantire l’inclusione di persone svantaggiate. L’agricoltura può rappresentare un’occasione davvero importante per trovare lavoro anche per chi esce dal carcere». Così la presidente della Coldiretti Palermo Valentina Dara Guccione parla di Semina libertà, il progetto siglato ieri con l’Istituto Malaspina per insegnare ai giovani detenuti le tecniche del vivaismo. 

Un protocollo di intesa per il quale le parti lavorano da oltre un anno. Il corso si articola in 60 ore in cui saranno insegnate le principali tecniche colturali, vivaistiche e del giardinaggio professionale, oltre alle conoscenze base della fisiologia vegetale. «Si tratta di un accordo di collaborazione tra la Coldiretti provinciale, l’istituto penale per i minorenni di Palermo e l’azienda agricola di Damiano Cracolici  – spiega Dara Guccione -.  Sostanzialmente noi forniremo la consulenza scientifica. Si tratta di moduli che saranno avviati nella seconda settimana di luglio a cura di del vivaista Cracolici che fornirà le basi delle tecniche colturali a un numero di giovani detenuti ancora da definire, attraverso un articolato programma di insegnamento». In questo modo si potranno trasferire loro delle competenze da utilizzare una volta finito il loro periodo di detenzione. «Abbiamo riscontrato una grandissima disponibilità da parte del direttore dell’istituto Capitano – conclude la presidente Coldiretti Palermo – ma anche di Clara Pangano, responsabile della parte tecnica dell’accordo. L’istituto di detenzione selezionerà i giovani da inserire nei vari cicli di lavorazione e si occuperà di verificare l’andamento del progetto». La consulenza dell’associazione di categoria e gli insegnamenti del vivaista, come prevede il protocollo, saranno a titolo gratuito. 

«Anche questa volta cerchiamo di ottenere l’obiettivo perseguito in tutti i progetti che mettiamo in campo – sottolinea il direttore dell’istituto Malaspina Michelangelo Capitano –  cioè dare ai giovani detenuti la possibilità di imparare qualcosa che possa servire nella vita futura, quindi che sia propedeutica al lavoro». Semina libertà infatti è solo uno dei progetti realizzati finora. Cotti in fragranza, ad esempio, è ormai è una realtà consolidata. «E poi ci sono altri protocolli di intesa come quello avviato con il museo Salinas che abbiamo presentato qualche giorno fa – continua il direttore -: si tratta di un corso di restauro molto particolare perché riguarda del vasellame del II secolo A.C.. Anche se non ha portato i ragazzi a diventare veri e propri restauratori, è stato un avvicinamento a un’idea di lavoro. Presto presenteremo anche i risultati di un altro progetto che abbiamo avviato con il museo di Petralia Soprana, che verrà aperto tra poco nei locali dell’ex carcere». È stato portato avanti in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni culturali: i ragazzi hanno riprodotto in scala alcune planimetrie e realizzato dei pannelli per una parte dell’allestimento del museo. 

Proprio in riferimento a Cotti in Fragranza il reinserimento di giovani finora ha funzionato e sono diversi quelli che continuano a lavorare anche una volta usciti dal carcere. In generale, conclude il direttore, «le politiche di reinserimento dei giovani a Palermo sono cambiate perché si sta presentando la possibilità di poter contare su una serie di risorse esterne radicate nel territorio. C’è molta più sensibilità verso gli ultimi da parte delle istituzioni e non solo, anche da parte di enti terzi come in questo caso la Coldiretti. Una sensibilità che si manifesta verso i giovani detenuti del Malaspina ma anche nei confronti dei ragazzi delle periferie che vivono condizioni di disagio». 

Stefania Brusca

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