Calci, schiaffi, insulti. L'ultimo caso pochi giorni fa, all'ospedale S.S.Salvatore di Paternò, dove un infermiere ha ricevuto venticinque giorni di prognosi per un'aggressione sul posto di lavoro. Futili motivi le cause più comuni. L'altra faccia della mala sanità: «Manca la sicurezza, siamo in pochi e le persone non si fidano più», denuncia il sindacato
Aggressioni agli infermieri in aumento «Siamo in pochi e manca la sicurezza»
«Quando un medico o un infermiere sbaglia le indagini partono subito. In caso contrario siamo lasciati soli». È la denuncia di Calogero Coniglio, coordinatore regionale del Cni-Fsi Sicilia (Coordinamento Nazionale degli Infermieri). Che racconta: «Minacce verbali, spintoni e spallate nei pronto soccorsi ospedalieri sono all’ordine del giorno. E le aggressioni vere e proprie diventano sempre più frequenti, decine di casi ogni anno. Ma il problema sta alla base. Manca la sicurezza. C’è carenza del servizio di polizia. E gli operatori sanitari non sono tutelati».
Una realtà difficile, quella dei camici bianchi, soprattutto a Catania dove si è verificato l’ultimo episodio di violenza in ospedale. Un infermiere aggredito durante le ore di servizio appena pochi giorni fa, il 17 luglio scorso nel reparto di Ortopedia dell’ospedale S.S.Salvatore di Paternò. «Venticinque giorni di prognosi per aver subito schiaffi e pugni mentre era di turno. Si tratta, come nelle maggior parte dei casi, di futili motivi», spiega Coniglio. «Una discussione per il malore di un paziente, allontanatosi di sua volontà dal reparto per prendere un caffè con un parente, che sarebbe degenerata, finendo alle mani», racconta il sindacalista. «Come questi, purtroppo, si contano tanti altri casi. L’anno scorso hanno fratturato il mignolo ad un infermiere dell’ospedale Vittorio Emanuele, solo perché i parenti della persona accompagnata al pronto soccorso pretendevano gli fosse assegnato codice rosso, anziché verde, pur non essendo grave».
«Noi, come sindacato, abbiamo sempre fatto presente il problema – dice Coniglio – Purtroppo chi subisce direttamente minacce e violenze, poi non denuncia. Hanno paura di eventuali ritorsioni. E molta gente trascorre l’intero turno di lavoro spaventata. Nell’ospedale di Paternò, ad esempio, – racconta ancora il sindacalista – non esiste il posto di polizia. Al Vittorio Emanuele di Catania, uno dei pronto soccorsi più frequentati, la guardia è garantita solo nella fascia mattutina e pomeridiana. Però bisogna considerare che all’ospedale non arriva solo il malato comune. Ma anche l’ubriaco, il tossicodipendente, persone instabili mentalmente. E chi ci lavora deve sentirsi protetto».
Un soluzione, secondo Coniglio, sarebbe aumentare i controlli e le guardie negli ospedali ma anche il numero di medici e infermieri nelle corsie. «In Sicilia siamo circa 38 infermieri ogni 10 mila abitanti. Ma basta spostarsi verso il Nord per rendersi conto della sproporzione. In Friuli Venezia Giulia sono 72 infermieri ogni 10 mila abitanti». Dati che poi, inevitabilmente, incidono sull’aumento della mala sanità. Purtroppo «siamo pochi», lamenta Coniglio. «E spesso l’infermiere è soggetto a dover trattare con i pazienti al posto del medico. Questo genera insicurezza nelle persone che ormai mostrano diffidenza verso l’intero sistema sanitario». Dove a farne le spese e a prenderle di pugni, schiaffi e insulti spesso, come in questi casi, è chi ci lavora.
[Foto di narice28]