A più di dieci anni dalla scomparsa della 22enne invalida di Acireale, il principale indiziato è Rosario Palermo. L'uomo che all'epoca dei fatti era il convivente di Mariella, la mamma della vittima. Altre tre persone sono indagate per favoreggiamento
Agata Scuto, oggi udienza preliminare del processo per omicidio Compagno della madre accusato di averla uccisa perché incinta
È oggi il giorno dell’udienza preliminare fissata per il processo dell’omicidio di Agata Scuto, la ragazza di 22 anni invalida scomparsa da Acireale la mattina del 4 giugno del 2012. In questi oltre dieci anni di lei nessuna traccia. Adesso, oltre al principale indiziato che deve rispondere di omicidio Rosario Palermo – per tutti Saro – che all’epoca dei fatti era il compagno della mamma della giovane, sono indagate anche altre tre persone: un amico, una ex e l’attuale compagna dell’uomo. Per loro l’accusa è di favoreggiamento. «L’udienza preliminare inizialmente era stata fissata per lunedì 11 giugno – spiega a MeridioNews l’avvocato Marco Tringali, il difensore di Palermo che si trova già detenuto in carcere – ma è stata rinviata per una questione relativa a un difetto di notifica». Un iter non insolito che ha posticipato di due settimane l’inizio della prima fase del procedimento.
Per la procura, Agata è stata ammazzata da Saro perché sarebbe rimasta incinta proprio di lui. «Lui si dichiara sempre innocente e non si assume alcuna responsabilità di quanto accaduto alla giovane». Intanto, a dieci anni di distanza, nel registro degli indagati sono state iscritte anche altre tre persone, tra cui Rita e Sonia. Rispettivamente la ex compagna di Palermo – un rapporto che risale a circa 18 anni fa da cui sono nati anche due figli – e l’attuale compagna, con cui l’uomo ha iniziato una relazione subito dopo la fine della convivenza con Mariella, la mamma di Agata. Le due donne, che si conoscono tra loro, avrebbero aiutato l’indagato a depistare le indagini. Questa è la tesi dell’accusa che si basa anche su degli audio intercettati che sono contenuti negli atti dell’indagine. «Se oggi, domani ti dovessero chiedere: “Ma lui che mestiere faceva quando era con lei?”. Tu ci devi dire che me ne andavo a fare vaccarelle (lumache, ndr) e origano a Palagonia e nella parte di Catania. Se me ne andavo lontano? Andavo a dormire a Siracusa? Non gli dire queste minchiate!». Una conversazione in cui pare che Palermo abbia l’intenzione di preparare la ex compagna a un eventuale interrogatorio da parte degli inquirenti, così suggerisce risposte da dare, informazioni da omettere e luoghi da non nominare. La provincia aretusea viene tirata in ballo proprio da lui in un audio registrato in cui l’uomo parla da solo mentre si trova alla guida della sua auto: «La ragazza che dovevo fare sparire, l’hanno trovata in un casolare a Pachino», nota località della zona sud della provincia di Siracusa. E dalle indagini è emerso che Palermo per lavoro spesso andava proprio in quelle zone.
«Me ne devo andare a mattinata, me ne vado verso le 4.30. Mi vesto da sporco e me ne devo andare a fare un pugno di crastuni (lumache, ndr). Se capita che passano i carabinieri non gli dire che me ne sono andato lontano – chiarisce Palermo dando indicazioni alla sua attuale compagna, senza sapere di essere intercettato – Gli dici: “Non lo so”. Se loro vengono di pomeriggio, non gli dire che me ne sono andato da questa mattina. Gli dici: “Se n’è andato verso le 11”, ti piace? Gli devi dire questo, non ti scordare mai quello che ti sto dicendo». Una raccomandazione a cui la donna risponde, senza controbattere, solo con un «Va bene, va bene». Non solo intercettazioni telefoniche e ambientali, ci sarebbe anche la testimonianza di una vicina di casa. La donna ha raccontato agli inquirenti che il giorno della scomparsa ha visto la ragazza – che soffriva di epilessia e aveva anche una menomazione al braccio e alla gamba – uscire di casa e di avere notato la macchina di Palermo parcheggiata là davanti. Lui, invece, ha sempre dichiarato di non essere stato lì quel giorno perché impegnato in campagna a raccogliere asparagi selvatici e lumache. Sul luogo, però, l’uomo ha cambiato versione: all’inizio ha dichiarato che era andato in un posto distante più di tre ore dalla casa dove viveva con Agata e sua madre, poi invece, ha ritrattato dicendo di essere rimasto in terreni della zona etnea.
All’epoca dei fatti, la madre della vittima avrebbe presentato una denuncia di scomparsa per poi ritirarla poco dopo, stando a quanto riferisce lei, proprio su impulso di Palermo. L’uomo, che adesso deve rispondere dell’accusa di omicidio, è l’unico ad avere affermato di avere visto Agata una decina di giorni dopo la scomparsa in compagnia di un ragazzo nella cittadina acese. Avvistamenti che erano stati il motivo per cui il caso era stato derubricato come scomparsa volontaria. Solo due anni fa, dopo una segnalazione anonima, le indagini sono ripartite. Mariella ha raccontato che aveva ricevuto dalla figlia la confidenza che, da due mesi circa, non aveva più il ciclo mestruale e sul suo diario aveva letto la scritta “mamma cornuta“. Inoltre, durante le indagini è stato trovato e sequestrato un pezzo di metallo che era nella disponibilità di Palermo. L’oggetto sporco di sangue sarebbe quello con cui l’uomo si sarebbe procurato una ferita a una gamba (di cui ha ancora una cicatrice) proprio il giorno della scomparsa di Agata. Tornato a casa zoppo e sanguinante, l’uomo non era andato in ospedale ma si era medicato a casa. L’arnese è stato ritrovato il giorno in cui Palermo è stato arrestato. Lui esclude che abbia a che fare con la sparizione della ragazza ma per la procura avrebbe cercato di nasconderlo in una località sull’Etna «per inquinare le indagini».
E ci sono poi i monologhi registrati dell’uomo che parla da solo in macchina, dopo avere già saputo di essere indagato. Conversazioni con se stesso in cui Palermo esprime il timore che il corpo della ragazza, che secondo gli inquirenti potrebbe essere stata strangolata e bruciata, possa essere ritrovato in un casolare nelle campagne di Pachino. «Ti prendono e ti danno l’ergastolo», dice l’uomo a un certo punto di quello che sembra una sorta di delirio onirico. In un secondo momento, però, si immagina di fronte a un giudice che lo deve giudicare per quanto avvenuto e che lo dichiara innocente. A voce alta pronuncia le ipotetiche parole della sua assoluzione: «Adesso sei libero, lo abbiamo capito che non sei stato tu ma è stato […]». A questo punto, Palermo fa il nome e il cognome di una persona in carne e ossa che conosce. Spetterà agli inquirenti capire se questo discorso fatto dall’indagato tra sé e sé sia un escamotage per precostituirsi un alibi e, in quel caso, se lo abbia fatto perché davvero colpevole o solo per il timore di essere ritenuto tale.