Vergine e martire, Agata morta per fede, testimone di una forza incorrotta che le permette di trascendere dalla propria identità femminile e di conquistare una sorta di virilità divina. Il proconsole Quinziano, con l’intento di far rispettare l’editto dell’imperatore Decio, chiese ai cristiani di abiurare in pubblico la loro fede. Invaghitosi di Agata ma rifiutato, le scagliò contro la sua ira, le tagliò la mammella e la pose sui carboni ardenti con cocci roventi.
Agata fu coperta da un velo che la protesse dalle fiamme (un velo porpora con bordi di sottili fili d’oro, posto sul suo sepolcro ed esposto al Duomo di Catania) ed è per questo che sembra protegga la città di Catania dalle eruzioni dell’Etna e dai terremoti. La leggenda narra che le sue ferite vennero in seguito miracolosamente guarite da San Paolo.
Nel 313, le sue spoglie furono occultate e successivamente traslate nella chiesa di Sant’Agata La Vetere. Tuttavia nel racconto del vescovo Maurizio, in merito al rientro delle reliquie da Costantinopoli dopo il trafugamento di Maniace del 1040, non viene menzionata la chiesa di Sant’Agata la Vetere e non viene indicata neanche come uno dei luoghi del martirio. Nel 1366 la chiesa è descritta come desolata e priva di ufficiatura del culto.
La tradizione relativa ai luoghi agatini appare più solida solamente alla fine del Seicento, periodo in cui si assiste, da parte della storiografia locale, alla costruzione del ruolo della chiesa di Sant’Agata la Vetere e alla contrapposizione tra vecchia e nuova cattedrale. Uno studio archeologico dei luoghi agatini suppone una rioccupazione cristiana dell’area nel corso del VII secolo mediante l’organizzazione di un’area di sepoltura intramoenia, connessa alla presenza di un edificio di culto e posta in prossimità della Porta Regia, principale via di accesso alla città lungo le mura settentrionali e più anticamente chiamata Porta di Sant’Agata la Vetere (documento del 1341). Tale necropoli può essere connessa alla trasformazione del tempio in chiesa cristiana e pare sovrapporsi cronologicamente alla basilica di via Dottor Consoli che, sulla base della famosa iscrizione di Iulia Florentina, è stata identificata come basilica martiriale dei catanesi Agata ed Euplio, altro luogo agatino celato dalla città moderna.
Recenti esplorazioni tra le due chiese di Sant’Agata la Vetere e del Carcere consentono di ipotizzare una articolazione monumentale dell’area a carattere pubblico: probabilmente, l’inurbamento del culto può avere utilizzato il grande edificio posto più a settentrione posizionato nei locali annessi alla chiesa del Carcere che la religiosità popolare identifica, già da età medievale, con il pretorio di Quinziano e il carcere in cui la martire fu imprigionata.
Il carcere potrebbe intendersi come camera sepolcrale: un monumento funerario assimilabile alle tombe a tempio (tardo periodo Flavio), che adombra la presenza, nell’area prossima a Sant’Agata la Vetere, di un monumento funerario oggetto di venerazione. Nella logica di una riutilizzazione tra VI e VII secolo, la camera voltata all’interno del podio potrebbe essere stata impiegata per collocarvi il suo sepolcro o per ambientarvi i luoghi del martirio di Agata.
La pietra basaltica custodita all’interno della chiesetta di Sant’Agata al Carcere riporta due impronte di piedi classificate tra le impronte meravigliose che si dicono appartenere alla Santa. Nel 1126, le spoglie smembrate in vari pezzi ritornarono a Catania: un francese Gisliberto e un calabrese Goselino trafugarono le reliquie a Costantinopoli e attraverso Smirne, Corinto, Modone, Taranto e Messina le riportarono in città. Gisliberto si recò da Messina al castello di Aci per informare il Vescovo Maurizio. Agata giunge a Catania il 17 Agosto del 1126.
Contenute in otto preziosi reliquiari in argento, le spoglie sono custodite all’interno della Cattedrale normanna, costruita da Ruggero I insieme al monastero benedettino e sono dell’argentiere senese. Oggi i reliquiari sono contenuti in uno scrigno del XVI secolo in lamina d’argento cesellata e filigranata. Il busto della Santa, opera dello stesso argentiere, è abbellito da preziosissimi gioielli e dalla corona che, per tradizione, fu donata da Riccardo Cuor di Leone ospite in città di Tancredi.
Si racconta inoltre che la Santa, oltre che salvare la città dalla lava diverse volte, abbia protetto la città di Catania dalla peste del 1575 e del 1743. Proprio in quest’ occasione il Senato decise di porre una statua della Santa su una stele all’ingresso della città: l’attuale Piazza dei Martiri.
La festa in onore della martire Agata, che si celebra a Catania nei giorni 3, 4 e 5 febbraio e alla quale quest’anno cittadini e turisti dovranno rinunciare causa Covid-19, è legata al mare e ai marinai: evidenti solo le similitudini con i riti che si svolgevano a Corinto per la dea Iside che vedevano una processione scendere dal tempio verso il mare; catanesi, che tiravano la barca con le reliquie mediante delle funi, indossavano sugli abiti una camicia bianca, simile alla tunica di lino indossata dagli “isiaci”.
Tra i rituali, il gesto di offrire dei seni di cera alla martire durante la processione e la produzione delle famose “minne di Sant’Agata” ci rimanda a Corinto dove, un ministro del culto recava, durante la processione ad Iside, un vaso d’oro a forma di mammella (Isis lactans). Inoltre, alle sacre impronte della martire corrisponde una lastra di provenienza ignota e datata all’età imperiale che mostra incisi due piedi con le dita verso l’alto e su ognuno l’incisione della dea egizia.
Foto di Salvo Puccio
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