Affaire Grasso, il vicesindaco Bonaccorsi contrattacca «Conversazione privata, diffonderla è stato illegale»

Quel giorno in Consiglio comunale c’era un clima piuttosto teso, almeno tra due persone. Una era il vicesindaco Roberto Bonaccorsi, e l’altra la consigliera del Movimento 5 stelle Lidia Adorno. Lo sfondo dell’ormai famosa conversazione tra l’ex candidato sindaco grillino Giovanni Grasso e il componente della giunta, registrata dallo stesso Grasso e finita nella chat del gruppo Cinque stelle, è una seduta straordinaria del senato cittadino. Il 20 maggio, infatti, si tiene l’appuntamento consiliare straordinario richiesto dal consigliere pentastellato Graziano Bonaccorsi. C’è da discutere della riscossione dei tributi e, più in generale, dello stato delle casse dell’ente municipale. È finita quella seduta che avviene la telefonata pietra dello scandalo, costata a Grasso l’ingresso nel gruppo misto e, probabilmente, un provvedimento da parte del Collegio dei probiviri del Movimento 5 stelle nazionale. «È riprovevole dal punto di vista etico registrare di nascosto una telefonata e non è consentito dalla legge diffonderne il contenuto – afferma a MeridioNews Roberto Bonaccorsi – Ritengo inoltre sia stato distorto, rispetto alla mia effettiva volontà, il significato di una conversazione privata».

La dichiarazione è stringata, ma il vicesindaco appare sereno. Nonostante da ieri la consigliera Adorno chieda la sua testa, invocando a gran voce un intervento del sindaco di Catania Salvo Pogliese. Quest’ultimo, però, per il momento tace: sembra che la linea decisa sia quella di lasciare che la polemica si spenga da sé, per riportare la discussione consiliare nell’alveo della serenità. Ma con la conferenza stampa convocata dai Cinque stelle per sabato mattina, c’è da giurarci, la questione si trascinerà ancora per le lunghe. «Questa non la finirà», sarebbe stata la frase di Grasso al vicesindaco e riferita ad Adorno. «Ci vuole ‘u coppu giustu, ora», avrebbe risposto Bonaccorsi, in dialetto

Al di là di questo stralcio, a essere stato reso noto è poco altro. Si mormora che la telefonata contenesse anche qualche valutazione, personale e professionale, dell’ex candidato sindaco Grasso a proposito delle qualità di Lidia Adorno e, pare, di un altro componente M5s del Consiglio comunale. Ma a fare scalpore è quel «colpo giusto» che Bonaccorsi avrebbe invocato. Dopo una mattinata a Palazzo degli elefanti che si era conclusa tra i fuochi d’artificio. Come detto, argomento del Consiglio comunale straordinario era la riscossione dei tributi. Al termine del suo intervento, però, il vicesindaco lancia una stoccata ad Adorno. La pentastellata, in un post su Facebook poi ripreso da alcuni giornali, aveva parlato dei cosiddetti «bagni d’oro». Cioè i bagni pubblici la cui pulizia costa al municipio la ragguardevole somma di quasi 770mila euro l’anno, come da contratto con la società partecipata Multiservizi.

«Non crediate si tratti di sprechi? – attaccava Lidia Adorno sui social network il 16 maggio – Certamente non lo crede l’assessore Bonaccorsi (già assessore al Bilancio dal 2010 al 2014) che il 30 settembre 2012, quando scadde l’affidamento alla Multiservizi spa della gestione dei servizi igienici da parte del Comune di Catania ed ebbe l’opportunità di non rinnovare tale convenzione, se ne guardò bene dal farlo, lasciando tutto inalterato. E pensare che nel 2010/2011 per questo servizio si spendeva addirittura di più, oltre 1.500.000 euro». Un post poi modificato con la correzione della conclusione del mandato di Bonaccorsi nella giunta dell’allora sindaco Raffaele Stancanelli: era il 2013. Nel 2014 Bonaccorsi era già sindaco del Comune di Giarre

«Il merito di quel post l’ho ritenuto diffamatorio – interviene Bonaccorsi in Consiglio, il 20 maggio – Nel 2014 ero sindaco di Giarre, e il 2012 non c’entra». Perché i contratti tra l’amministrazione e Multiservizi risalgono il primo al 2009 e il secondo al 2015. «Quando si addossano responsabilità a chi non c’entra – aggiunge Bonaccorsi – bisogna essere più prudenti. Mi auguro che lei prenda coscienza di questo, chieda scusa e faccia una rettifica immediata. Se ciò non dovesse succedere la metterò in condizione di provare quanto da lei scritto davanti a un giudice. Non mi potrò esimere, purtroppo, dal querelarla». È in questo contesto che maturano le frasi registrate e diffuse. Un dialogo che Adorno, ieri, ha riproposto sempre su Facebook: «Non è tratto da I cento passi di Claudio Fava e nemmeno da un articolo di Peppino Impastato o da La mafia uccide solo d’estate», scriveva, a commento.


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