Addiopizzo scrive a Salvini, contro la narrazione sui migranti «Quando finirà la pacchia per i mafiosi che ci saccheggiano?»

L’organizzazione palermitana che dal 2014 si occupa di lotta al racket e dell’assistenza ai commercianti che denunciano le richieste di pizzo ne ha piene le tasche delle dichiarazioni del ministro degli interni Matteo Salvini e oggi ha scelto di scrivere una missiva per spiegare al segretario della Lega come funzionano le cose a Palermo e in Sicilia. Raccontandogli la storia dei commercianti del Bangladesh che a Palermo hanno denunciato i loro estorsori, una storia di coraggio e piena integrazione. «Le parole di Salvini negli ultimi tempi, ma specialmente degli ultimi giorni, ci preoccupano molto – dicono dal comitato – parlare di pacchia ai migranti sfruttati in Calabria nei giorni successivi alla morte di Soumayla Sacko, dire di voler togliere la scorta a Roberto Saviano. Perché il ministro piuttosto che prendersi questi pensieri non parla di contrasto serio alla criminalità? La storia della nostra associazione a Palermo è importante, rappresenta un punto di svolta e abbiamo bisogno di sostegno, non di parole inutili. La narrazione che fa Salvini sui migranti non ci convince, noi abbiamo storie esemplari. Per noi è doveroso sottolineare la gravità di certe affermazioni, per questo oggi gli abbiamo scritto una lettera».

LA LETTERA:

Signor Ministro Salvini,

Scriviamo da Palermo. Siamo un’organizzazione antimafia che esiste dal 2004, si chiama Addiopizzo. Si occupa di lotta al racket e di assistenza ai commercianti che denunciano le richieste di pizzo. Anche migranti. Perché la mafia non discrimina, la mafia basa la sua forza sul controllo del territorio, e sfrutta tutti allo stesso modo, indifferentemente dal colore della pelle o dal passaporto. Ecco, scriviamo per raccontare una storia di cittadini/imprenditori palermitani, originari del Bangladesh. Stranieri e commercianti, che hanno avuto il coraggio di ribellarsi ai loro estorsori.

Le storie di alcuni di loro sono incredibili: partiti dieci anni fa dal Bangladesh (qualcuno di loro ha parlato di vero e proprio inferno), dopo un lungo viaggio in mare, sono sbarcati sulle coste siciliane. La storia ha voluto che queste persone si fermassero a Palermo per iniziare una nuova vita. Hanno aperto attività commerciali, hanno creato famiglie e generato figli che si sono perfettamente integrati nel territorio.

Due anni fa, alcuni di loro ci contattano perché vessati da anni da un gruppo criminale: richieste di denaro, minacce, rapine a mano armata, furti e aggressioni sono all’ordine del giorno. Le vittime prese di mira sono solo i commercianti di origine straniera della zona. La paura incombe e loro sono costretti a lavorare con le porte chiuse; non passa giorno in cui non si debbano confrontare con violenze e modalità tipicamente mafiose.

E cosa fanno questi “pericolosi” extracomunitari? Insieme a noi, vanno a denunciare. È uno dei pochissimi casi di denuncia spontanea e collettiva, una scelta di enorme senso civico.

“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità!” ripetiamo instancabilmente da anni, per incoraggiare la comunità siciliana a ribellarsi alla mafia. Ebbene, al di là di un passaporto, la dignità è di ogni uomo libero, e noi siamo orgogliosi dei nostri concittadini che denunciano, qualunque sia la loro origine.

Si è aperto il processo, tutt’ora in corso, dove le vittime hanno testimoniato contro i loro aguzzini. Tutti i reati, oltre a essere aggravati dalle modalità mafiose sono aggravati dalla speciale circostanza della discriminazione razziale. Il livello di tensione in udienza è altissimo: questi commercianti, di fatto discriminati in quanto di origine straniera, hanno di fronte chi per tanto tempo li ha vessati e intimiditi, come uomini e come commercianti.

In 14 anni di impegno quotidiano abbiamo supportato oltre 300 imprenditori: una vera rivoluzione che ha segnato la storia recente della città di Palermo. In questo contesto, un gruppo di commercianti arrivati da lontano, prende posizione contro un problema tutto italiano e dimostra quel coraggio che i nostri concittadini non sempre hanno avuto.

E in un Paese che la mafia distrugge giorno dopo giorno, mentre tanti italiani cercano di combatterla, le sue posizioni, le sue parole, sono inaccettabili perché rischiano di diventare un assist per chi sfrutta i migranti nei campi, o per chi vessa i commercianti (sì, anche immigrati) che trovano il coraggio di denunciare.

Ci saremmo aspettati da un Ministro dell’Interno, all’inizio del suo mandato, una dichiarazione minacciosa nei confronti dei mafiosi, non nei confronti dei migranti. Quando dice “è finita la pacchia” ci piacerebbe che si riferisse ai mafiosi che saccheggiano i nostri territori. Che sfruttano gli esseri umani costringendoli a lavorare nei campi in condizioni inumane. E sono parole che arrivano proprio quando un migrante, un sindacalista, sfruttato nei campi calabresi viene ucciso.

Come organizzazione che si occupa di lotta al racket delle estorsioni guardiamo al Ministro dell’Interno come il “nostro” Ministro; ci indigna e ci spiazza ascoltarlo mentre minaccia, invece di proteggere, chi rischia la vita per aver preso posizione contro la mafia, solo perché dissente dalle sue posizioni e dalla sua propaganda politica.

Minacciare di togliere protezione, significa dare un segnale positivo alla mafia. Il governo e l’elettorato italiano sono responsabili di queste scelte. Responsabili anche di avere e alimentare una corretta informazione sui fatti, data l’enorme quantità di fake news che circolano in rete e su alcuni giornali che favoriscono il clima di tensione e disgregazione che si respira oggi in questo Paese. Paese in cui italiani sono i rom, i sinti, i neri, i meridionali, i musulmani; come molti paesi del mondo anche l’Italia è formata da un’aggregazione di minoranze.

Il 16 Luglio si celebrerà una nuova udienza del processo nel quale questi coraggiosi commercianti hanno testimoniato in aula.Invitiamo tutti, palermitani, siciliani, italiani di ogni provenienza, a stringersi collettivamente intorno a questo piccolo gruppo di persone, perché ne hanno bisogno: per evitare ritorsioni serve sicurezza, come lei saprà bene, ma è necessario anche che non cali l’attenzione su questi 10 cittadini di origine straniera.

Ci sarà anche lei, signor Ministro, alla prossima udienza?


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