Acqua: prima legge dell’Ars senza commissario dello Stato Sicilia contro le trivelle: Ardizzone ha sostituito Crocetta

La settimana politica e parlamentare che si apre oggi in Sicilia ci dovrebbe consegnare due novità: la prima legge dell’Assemblea regionale siciliana senza l’intervento dell’Ufficio del Commissario dello Stato, di fatto reso inoffensivo dalla Corte Costituzionale, e un dibattito politico acceso sulla difesa del suolo e del mare della Sicilia dall’assalto dei grandi petrolieri. 

La prima legge regionale che verrà controllata direttamente da Roma (leggere Governo nazionale) dovrebbe riguardare il servizio idrico in 52 Comuni del Palermitano. Mentre la vera novità politica è rappresentata dalla svolta autonomista che il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, sta provando ad imprimere alla politica siciliana, di fatto contro un Governo regionale che sembra dipendere un po’ troppo dai diktat romani. 

Cominciamo dalla legge sul servizio idrico in 52 Comuni del Palermitano. Da alcuni mesi la gestione dell’acqua, in questi Comuni, è caotica. La società privata che gestiva il servizio – Aps (Acque potabili siciliane) – è fallita. C’è stato il tentativo di far subentrare altre società. Compresa l’Amap, la società che gestisce l’acqua a Palermo. Ma tutte si sono tirate indietro. Motivo: nessuna società se la sente di caricarsi il costo di oltre 200 dipendenti di Aps. 

Così l’Ars ha messo a punto un disegno di legge da 10 milioni e mezzo di euro. Due milioni e mezzo di euro circa dovrebbero servire per chiudere le pendenze di quest’anno (i dipendenti di Aps hanno assicurato il servizio in questi 52 Comuni senza stipendi). E 8 milioni dovrebbero servire per il prossimo anno. 

Il problema è che, secondo la normativa comunitaria, le società chiamate a gestire il servizio idrico (distribuzione dell’acqua alle abitazioni e gestione dei depuratori), dovrebbero autofinanziarsi con le tariffe e non con l’intervento pubblico. Insomma, si pone un problema di legittimità della legge. E di soldi. Dal momento che la Regione siciliana, sotto il profilo finanziario, di fatto, è commissariata. 

Cosa vogliamo dire? Che se c’è da togliere alle categorie siciliane, Roma è disposta a passare di sopra a una Costituzione italiana che ormai, tra le altre cose, è stata travolta dal Fiscal Compact, dal Two Pack e da altri trattati internazionali. E’ successo nelle scorse settimane con lo sbaraccamento del fondo di rotazione Crias, 20 milioni di euro che venivano utilizzati da artigiani e agricoltori siciliani. Soldi stornati sulla spesa corrente per pagare i forestali (per inciso, nessuna protesta di Confagricoltura, Cia, Coldiretti e associazioni degli artigiani, tutte appiattite su Governo e Ars che hanno fatto scempio di uno storico fondo di rotazione). 

Nel caso del servizio idrico ai 52 Comuni del Palermitano, però, i soldi dovrebbe ‘cacciarli’ Roma che, avendo svuotato le ‘casse’ della Regione (negli ultimi due anni il Governo nazionale ha prelevato dal Bilancio della Regione 2 miliardi e 350 milioni di euro con i cosiddetti accantonamenti: da qui il già citato ‘buco’ di 3 miliardi di euro dell’Amministrazione regionale), dovrebbe approntare oggi questi soldi. E qui potrebbe cascare l’asino.

Come già detto all’inizio, non c’è più il filtro del Commissario dello Stato. L’Ars potrebbe approvare la legge stanziando 10 milioni e mezzo di euro per il servizio idrico nei 52 Comuni del Palermitano. Ma il Governo nazionale potrebbe obiettare che la normativa comunitaria non prevede, in questo settore, l’intervento pubblico. E lo potrebbe fare, perché le cose, come già accennato, stanno proprio in questi termini. 

Morale: non è improbabile che la presidenza dell’Ars imponga il ritiro di questo disegno di legge per evitare il primo scontro con Roma.     

Diverso il discorso sui petrolieri. Dove, invece, lo scontro con Roma è ormai nelle cose. Quello che è avvenuto la scorsa settimana sul fronte delle trivellazioni, con molta probabilità, avrà effetti non indifferenti sulla politica siciliana. Le cronache hanno registrato una rivolta dei siciliani contro quella parte del Decreto sblocca Italia – voluto dal Governo Renzi – che consentirebbe ai petrolieri di ‘bucare’ il suolo e il mare della nostra Isola per cercare gas e petrolio. Il tutto per il solito piatto di lenticchie. 

Contro il provvedimento si è subito schierata l’ANCI siciliana (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani). Il presidente e il vice presidente di ANCI Sicilia, rispettivamente, Leoluca Orlando e Paolo Amenta, hanno annunciato dura opposizione. Anche sul fronte parlamentare, contro il provvedimento, si è aperto il fuoco di sbarramento. Contro lo strapotere dei petrolieri appoggiati dal Governo Renzi sono il Movimento 5 Stelle, la Lista Musumeci e altre formazioni politiche. Anche una parte del PD siciliano è contraria. 

Di fatto, solo il presidente della Regione, Rosario Crocetta, e i renziani siciliani difendono il Governo Renzi. Per essere precisi, i renziani siciliani tacciono, mentre il solito Crocetta, dopo aver fatto ‘giurare’ gli assessori della sua nuova Giunta sullo Statuto siciliano, si sta clamorosamente contraddicendo (tanto per cambiare), appoggiando il Governo Renzi. 

Alle preteste di ANCI Sicilia e gruppi parlamentari si aggiungono quelle degli ambientalisti e di tantissimi cittadini comuni.  

Lo scontro, già a partire da questa settimana, dovrebbe essere duro. Ardizzone, ha annunciato che in conferenza dei capigruppo proporrà un dibattito in aula sulle trivellazioni. Una mossa per stanare tutti i gruppi parlamentari di Sala d’Ercole a prendere una posizione. L’obiettivo è quello di andare oltre l’ordine del giorno contro le trivelle approvato la scorsa settimana dal Parlamento dell’Isola. 

Lo scontro, oltre che ideologico (sono in tanti, in Sicilia, a non volere le trivelle per paura dell’inquinamento e, in generale, per i problemi che le trivellazioni creano agli ecosistemi marini e terrestri), sarà anche economico. Perché Ardizzone ha detto a chiare lettere – di fatto sostituendosi a un Governo regionale debole, che a Sala d’Ercole è privo di maggioranza – che non si accontenterà dei 500 milioni di royalty. 

Di fatto, nella difesa degli interessi reali della Sicilia, la presidenza dell’Ars si sta sostituendo a un Governo debole, confuso e troppo condizionato dal Governo nazionale. 

Il presidente dell’Ars ha fatto di più, aprendo una vertenza sull’applicazione dello Statuto, a partire da una legge-voto, già approvata dall’Ars (ispirata dal parlamentare Michele Cimino), sull’articolo 36 dello Statuto. Legge-voto che dovrebbe essere esaminata dal Parlamento nazionale. 

In questo passaggio politico è di certo importante che due figure istituzionali romane, entrambe siciliane – il presidente del Senato, Piero Grasso, e la parlamentare Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati – mettano all’ordine del giorno la legge-voto sull’articolo 36. Ma è anche importante aver sollevato un tema politico che potrebbe diventare centrale, in Sicilia, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Insomma, anche se Grasso e Anna Finocchiaro si tireranno indietro, magari pensando più alla corsa per la presidenza della Repubblica che agli interessi della Sicilia, il dato ormai è tratto. 

Già Crocetta governa con difficoltà. Governare senza maggioranza nel Parlamento dell’Isola e contro la presidenza dell’Assemblea diventerebbe quasi impossibile. Soprattutto se il presidente dell’Ars, come si è impegnato a fare, inserirà nei lavori di Sala d’Ercole, già a partire da questa settimana, non solo la questione delle trivelle, ma gli aspetti finanziari connessi alle stesse trivelle: e cioè l’applicazione degli articoli 36 e 37 dello Statuto.  


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