Hanno passato sulla struttura tutta la giornata di ieri, e anche la notte, le quattro dipendenti della casa di accoglienza. Questo l'estremo gesto di protesta scelto per chiedere di ricevere i pagamenti dei loro stipendi arretrati. «Le parole non ci bastano più, adesso vogliamo fatti concreti» dicono. Guarda il video
Acireale, lavoratrici Ipab Oasi protestano sul tetto «Dobbiamo ancora percepire trentasei mensilità»
Hanno passato l’intera giornata di ieri sul tetto della struttura con pochissimo cibo e un po’ d’acqua e, ancora adesso, non sembrano volere desistere. Questa la forma di protesta scelta da quattro dipendenti dell’Ipab Oasi Cristo Re di Acireale, in rappresentanza di tutti i lavoratori ormai esasperati dall’attesa di percepire ben 36 mensilità arretrate di pagamenti.
«Noi staremo qua:
non abbiamo nessuna intenzione di scendere, almeno fino a quando chi di competenza non si decide a liberare le somme che ci spettano». A gridare il proprio dissenso è Pina Viscuso, una delle quattro dipendenti dell’Ipab Oasi Cristo Re che ha deciso di protestare appostandosi sul tetto della struttura. «Un gesto estremo», come lo definisce la stessa manifestante, simbolo dell’esasperazione che travolge da più di tre anni i dipendenti della casa di accoglienza e che ha spinto le lavoratrici a stare sedute sul bordo della balconata senza delimitazioni. Altre colleghe, insieme ai vigili del fuoco e alle forze di polizia, sono rimaste nel cortile di via Maddem.
Sono
trentasei le mensilità arretrate dei lavoratori dell’Oasi, la struttura regionale che nelle proprie camere dà assistenza a disabili, anziani e minori non accompagnati. «Alle mensilità arretrate – racconta la donna a MeridioNews – si aggiunge la difficoltà quotidiana di recarci qui a svolgere il servizio per gli assistiti, dato che ormai non abbiamo neanche i soldi per venire a lavoro».
Dopo anni in cui si sono succeduti
commissari liquidatori, coalizioni politiche regionali e numerosi tavoli tecnici con le autorità competenti, l’anno scorso c’era stato un barlume di speranza per la soluzione del disagio economico dei 55 dipendenti. A novembre, i lavoratori avevano deciso di intraprendere la strada delle ingiunzioni nei confronti dei Comuni debitori dell’Ipab e anche nei confronti dell’ente stesso. Dopo alcune dispute interne, la maggior parte dei dipendenti aveva deciso di ritirare le ingiunzioni per consentire più facilmente il pagamento degli stipendi da parte dei Comuni.
Adesso, a distanza di un anno, si sono accumulati gli accantonamenti nei vari Comuni ma
le somme continuano a essere bloccate. «Vogliamo che la responsabilità passi al prefetto – chiedono – che, dopo aver convocato il giudice, ci deve mettere per iscritto che i pignoramenti vengano dirottati tutti in un unico Comune, così che gli altri comuni a noi debitori possano svincolare le somme che ci spettano». Sul tetto sono in quattro ma ci tengono a precisare che «non siamo sole. I colleghi sono sempre solidali e se necessario alcuni ci faranno compagnia. Nonostante lo sciopero, il servizio ai nostri assistiti verrà garantito, perché non possiamo permetterci di lasciarli da soli», continua Pina Viscuso.
Altra richiesta dei dipendenti è quella di
coinvolgere tutti i sindaci dei Comuni debitori. L’economo dell’ente, Salvo Raciti, sottolinea che in questa situazione ci sono anche delle responsabilità della politica locale e regionale. «Sono anni che i politici acesi dichiarano di conoscere i problemi dell’Ipab – sostiene – ma niente è stato fatto e adesso a pagare non possono essere i lavoratori».
Nell’ampio cortile dell’Oasi è stato posizionato il letto gonfiabile. Intanto le manifestanti, nonostante la stanchezza, sembrano decise a non mollare. «Non abbiamo mangiato quasi nulla, abbiamo bevuto solo acqua. Siamo disposte a passare qui tutto il tempo necessario fino a quando non ci daranno tutti i soldi che ci spettano. Le parole non ci bastano più, adesso vogliamo solo fatti concreti».