«Mu spieghi esattamente… Che cosa sto collaudando?». Salvatore Di Stefano, ingegnere e dirigente della Protezione civile di Acireale, la mette giù candidamente. In una intercettazione contenuta nell’ordinanza dell’inchiesta Sibilla, il tecnico parla al telefono con Salvatore Leonardi, consulente della San Sebastiano srl, azienda che gestisce il cimitero acese. Di Stefano, per il collaudo del lotto E della struttura – del quale a prima vista ricorda poco – riceve dall’impresa 6.600 euro, in due tranche. La procura è però convinta che quel collaudo non sia mai avvenuto. Secondo i magistrati, Di Stefano, «pur avendo sottoscritto quattro verbali di sopralluogo e un certificato di collaudo», in realtà sul posto non ci sarebbe andato. Almeno non quando lo avrebbe dichiarato. Dinnanzi all’inconsueta domanda ricevuta, Leonardi risponde a di Stefano di fare un salto in cimitero. Ma non, come scrive la procura, per mettersi a lavorare, quanto piuttosto «per vaddalli ‘sti lucernari, su simpatici, tutto sommato vinni… bellu». È il 15 settembre 2017.
Di Stefano, d’altronde, in uno dei giorni in cui – secondo i documenti – avrebbe dovuto essere al cimitero, in realtà non si sarebbe mosso dal suo ufficio di Protezione civile per tutta la mattinata. «Io non le so le date, li sta preparando lui (Leonardi, ndr)», spiega al telefono con una persona non coinvolta nell’inchiesta. Conversazione che, a detta dei pm, «depone indiscutibilmente per la redazione “a tavolino” dei verbali». Di Stefano, capo settore della Protezione civile acese, si trova ora in carcere. Non l’unico tecnico comunale coinvolto nell’indagine. Dietro le sbarre c’è anche Giovanni Barbagallo, dirigente del settore Urbanistica, già a capo dell’intera area tecnica di via Lancaster. I due, secondo la lettura della procura, intratterrebbero «rapporti di scambio». Quali? La ricostruzione degli investigatori prende le mosse dalla spartizione – fin qui in senso buono – dei fondi, forniti al Comune dalla Regione Siciliana, per le riparazioni degli immobili privati colpiti dalla tromba d’aria del 5 novembre 2014.
Tra i richiedenti, a sorpresa, c’è proprio Giovanni Barbagallo. La sua pratica, a più riprese, viene respinta dalla commissione tecnica che stabilisce l’accesso al contributo. Un organismo composto da due geometri, un architetto e un ingegnere pescati dalle rispettive associazioni professionali. E, in quota comunale, da Salvatore Di Stefano. Il quale, analizzata la documentazione del collega, deciderebbe che «l’istanza – si legge nell’ordinanza – possa essere ammessa al contributo». Il 9 maggio 2017 esce la graduatoria, e Giovanni Barbagallo c’è. Una cosuccia da 14mila 600 euro. Nei giorni seguenti, i magistrati convocano e ascoltano gli altri membri della commissione. I professionisti, a vario titolo, spiegherebbero che l’istanza di Barbagallo era sempre stata respinta perché «non c’era il nesso di causalità tra il danno e l’evento meteorologico». In altre parole, a detta dei tecnici, le lesioni in alcune parti del suo appartamento non potevano essere state provocate dal maltempo di quei giorni.
Addirittura, i convocati racconterebbero di aver appreso da una funzionaria un fatto strano: la scomparsa della pratica di Barbagallo. Che infatti, alla fine, la commissione nemmeno valuta. In seguito, fiamme gialle e magistrati ricostruiscono il rapporto tra i due dirigenti comunali. Al di là della solita frase intercettata a Di Stefano mentre parla con una collaboratrice («Ci misi macari a Barbagallo picchì, nel bene e nel male, ce l’amu a dari…»), viene scoperto che, proprio mentre Di Stefano si rigira tra le mani la patata bollente dei contributi, Barbagallo è tra i componenti della commissione che giudica i titoli per conferire l’incarico di dirigente dell’area tecnica. E chi c’è tra i candidati? Salvatore Di Stefano. Il posto alla fine non va a lui, ma il 16 giugno Barbagallo lo nomina rup (responsabile unico del procedimento) del progetto Smart city. Poco dopo, in qualità di rup, Di Stefano – a fronte di quattromila 440 euro, incarica una società del cognato di Barbagallo per certificare la sostenibilità economica del progetto Smart city.
Il 4 luglio 2017 arriva la conversazione, per alcuni versi perfino spassosa, udita mentre conversano uno con l’altro. In cui Di Stefano prima sembra rassicurare il dirimpettaio («Non ti potevo difendere davanti alla commissione, capisci», o «Accuntu tu ci rientrasti… Chissa è a cosa chiù imputtanti»), poi prenderebbe a servirgli qualche suggerimento su come imbastire l’istanza per il contributo comunale («Non t’à siddiari… Cià fari na caterba di fotu… na caterba di fotu… dove tu scummugghiannu»). C’è un momento in cui Barbagallo chiede se sia possibile differire l’inizio dei lavori, e Di Stefano non la prende bene: «Iu mi scantu», taglia corto. Altri dettagli su questa strana liason emergono dalla conversazione tra Di Stefano e una sua collaboratrice. Mentre le racconta del suo colloquio per diventare capo dell’area tecnica. Chi lo interroga? Barbagallo. Ma gli chiederebbe, incredibilmente, anche della sua pratica per i fondi della tromba d’aria. «U bellu… interrogau ppi sapiri… quannu ci arriva a lettera… Che cretino speriamo ca non c’erano cimici e quant’altro». Be’, in effetti c’erano, le cimici.
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