Nell'Isola cinque ginecologi su sei si rifiutano di praticare le interruzioni volontarie di gravidanza. «Nella maggior parte dei casi - racconta a MeridioNews uno dei pochi non obiettori di coscienza - la religione e l'ideologia non c'entrano, è lavoro in meno»
Aborto, in Sicilia il numero più alto di medici obiettori «Perfino i portantini. E io mi sento chiamare “assassino”»
In Sicilia
cinque ginecologi su sei sono obiettori di coscienza, così come il 79,2 per cento degli anestesisti. «A questi si aggiungono anche ostetrici, infermieri e perfino i portantini», racconta a Meridionews uno dei tre ginecologi non obiettori di tutta la provincia di Ragusa. Va peggio nel Trapanese dove ce n’è soltanto uno. Nell’intera isola, ci sono solo otto strutture in cui è possibile l’interruzione volontaria della gravidanza farmacologica con la pillola abortiva Ru486. Dati che fanno della Sicilia la regione con la maggiore percentuale di obiettori, come è emerso dall’indagine Mai dati! presentata durante il congresso nazionale dell’associazione Luca Coscioni. Carenze che continuano a ostacolare l’applicazione della legge 194 che norma «la tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza». Tutele che da 43 anni sono rimaste per lo più solo sulla carta.
E, infatti, secondo l’ultimo report del ministero della Salute, il dato delle interruzioni di gravidanza in Sicilia è sceso nel 2020: dalle 5281 del 2019 si è passati a 4920 nell’anno successivo. Un numero inferiore rispetto a quello della sola città di Milano dove ne sono state registrate 5326. «Sono cifre da cui non emerge il sommerso delle donne che fanno ricorso a strutture clandestine o delle cliniche che fanno passare le interruzioni volontarie come aborti spontanei», denuncia il medico spiegando che in entrambi i casi la documentazione necessaria è un’ecografia, dunque un’immagine da cui non è possibile distinguere se il feto sia vivo o morto. Dopo un primo disegno di legge presentato all’Ars nel 2018 dal deputato Claudio Fava, è il Movimento 5 stelle a tornare sul tema: prima con un’interrogazione proposta dalla deputata Stefania Campo e firmata anche da colleghi di altri partiti, adesso con la deputata Gianina Ciancio che chiede l’intervento del presidente della Regione Nello Musumeci e all’assessore alla Salute Ruggero Razza.
Tra
preti che paragonano l’aborto ai crimini nazisti come avvenuto a Marsala e campagne pubblicitarie Pro vita in enormi cartelloni lungo le strade «nella maggior parte dei casi, in realtà, la religione non c’entra nulla così come l’ideologia. Dei 78 ginecologi dell’Asp di Ragusa – spiega il medico – tolti i tre che pratichiamo le Ivg, solo due degli altri 75 sono obiettori per motivi religiosi, perché sono anche catechisti. Gli altri 73 non pensano che sia eticamente scorretto o che si tratti di una procedura complicata, semplicemente – sostiene – è lavoro in meno». Così sono sempre gli stessi tre medici a occuparsi degli interventi e solo di venerdì. E spesso le donne sono costrette a spostarsi in altre province perché rischierebbero di non rientrare nei tempi previsti (il 180esimo giorno dalla data dell’ultima mestruazione). «Mi capita spesso di non trovare un infermiere disponibile e perfino portantini che si rifiutano di spingere la barella alla fine dell’intervento – lamenta il ginecologo – In quei casi, sono io stesso che accompagno le donne dalla sala operatoria alla stanza e attacco la flebo. Per questa mia scelta, spesso mi sento dare dell'”assassino” da alcuni colleghi, ma non mi importa – aggiunge – io credo fermamente nel diritto di ogni donna a poter scegliere a prescindere dalle condizioni economiche, sociali ed emotive in cui si trova».
Nel corso degli anni, sono più di mille le donne che si sono presentate davanti al medico per chiedere di interrompere la gravidanza. «C’è chi aveva problemi economici e chi è arrivata dopo avere subito una violenza, molte arrivano da noi da Malta (dove l’aborto è ancora illegale,
ndr). Poi – spiega – ci sono anche donne che sono tornate più volte. Me ne ricordo una, in particolare, di origine subsahariana che è venuta quattro volte in otto mesi. Era insieme al marito e, l’ultima volta, di fronte al mio invito a utilizzare dei metodi di contraccezione, mi ha aggredito verbalmente». Le difficoltà di accesso al diritto per le donne di scegliere senza imposizioni sul proprio corpo si ripercuotono maggiormente sulle fasce di popolazione più deboli: minorenni, donne straniere o in condizioni economiche precarie.
Per provare a fare qualche passo avanti verso la piena applicazione della legge 194, 24 deputati regionali hanno firmato un’interrogazione in cui propongono di «stabilire per
ogni struttura pubblica e privata accreditata, una
dotazione organica necessaria e adeguata, prevedendo
un numero minimo di medici e operatori non obiettori
di coscienza». Tra le idee messe in campo anche quella di immaginare «forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato per equilibrare il numero degli obiettori e dei non obiettori, anche bandendo concorsi riservati a ginecologi non obiettori». Al presidente della Regione e all’assessore alla Salute nell’interrogazione – che vede come prima firmataria la deputata pentastellata Gianina Ciancio – si chiede «il potenziamento dei consultori
e delle campagne di informazione soprattutto nelle
scuole, tra i mediatori culturali e nelle comunità
straniere e se non intendano stanziare maggiori risorse per prevedere la presenza di centri di ascolto e
sostegno psicologico nelle scuole con personale
laico specializzato».