A saudade do velho Porto

Mi piacerebbe riuscire a descrivere esaurientemente O Porto. Ma significherebbe dover descrivere una valanga di emozioni, sensazioni, suoni, odori, immagini, percezioni, contatti, umori, storie, musiche. Allora, penso proprio che mi affideró alla sua cucina, ai piatti portoghesi, come perfetta metafora di questa cittá. O li odi o li ami. Come lei. A prima vista possono apparire bellissimi, eccezionali, ma ti riservano sempre qualche sorspresa sgradita, gusti troppo forti e contrastanti, sapori stridenti e graffianti. Oppure possono apparire veramente brutti alla vista e sgradevoli al primo assaggio, ma ti conquisteranno al secondo. Cosí é Porto. C’é chi la ama da subito trovandola incantevole e chi da subito non la sopporta, non ne regge i contrasti e le contraddizioni, la sporcizia, quell’aria aggressiva, insolente e impertinente che ha. Incantevole e piena di cose sgradevoli ed insopportabili. Brutta e meschina ma piena di fascino, un fascino struggente che ti rapisce se la guardi bene. Di lei ti puoi innamorare, non perché sia splendida nel senso canonico del termine, ma perché é estremamente affascinante. Non la si puó definire una bella donna, ma una donna interessante, con un fascino che é particolare e suo soltanto, forte ed irripetibile, con quel quid che non sai spiegare cosa é esattamente. Porto bisogna giudicarla al secondo morso, al secondo sguardo, non al primo impatto. Non bisogna essere impulsivi con lei, ma neppure troppo indulgenti, bisogna essere riflessivi e cauti, bisogna prendersi il tempo necessario per metabolizzarla e capirla. Evitare di giudicarla dalla prima impressione perché puó essere estrema, o troppo negativa o troppo positiva. Porto bisogna studiarla, osservarla, girarla e rigirarla, guardarla da lontano, indagarla, tastarla. Una prima e poi una seconda volta. Io, ci sono tornata una seconda volta proprio questo fine settimana, a distanza di mesi dalla prima, e la mia ultima impressione é molto piú solida della precedente. Mi sono tuffata nelle sue ruas che la attraversano in lungo e largo (salendo e scendendo per Rua de Santa Catarina e Rua de São da Bandeira), affondando fino a scomparire in mezzo alla sua gente, fra gli alternativi, gli immigrati, i pazzi e gli sbandati della Estacão de São Bento, alla Cattedrale da Sé, nei café pieni di anziane signore che mangiano pasteis de nata, attraversando i suoi ponti, su in cima alla Torre dos Clérigos, o giú a Gaia lungo il Douro scendendo fino ai quartieri piú popolari, fra le case basse colorate di rosso, verde, giallo con gli azulejos blu e i vasi traboccanti di piante, fra i talhos, le pastelarias, le confeitarias e le tascas piene di vecchi signori, immersa nel profumo di torte e carni arrostite, fra i pensionati che si improvvisano guide. E poi c’é l’Atlantico. Sono andata al Castelo do Queijo, e quí mi sono congedata idealmente dalla cittá. Ho visto tramontare il sole nell’Atlantico. E mentre il sole moriva affogato nelle sue aque fredde, quella luce e quel calore mi trasmettevano un’energia e un’allegria indescrivibili. Poi il tempo é cambiato rapidamente, come sempre qui. Sono cambiati i colori, gli odori. Ma quell’immagine é rimasta fissa nella mia testa.
La mia seconda volta a Porto é stata molto diversa dalla prima. E´sorretta da una osservazione attenta e accurata, e ne viene fuori un coagulo di genti, parole, luoghi, suoni, scorci, palazzi, botteghe. C’é una alone di magia che la avvolge, di poesia, di romanzo decadente. C’é un non so che da fien de siecle. C’é la nebbia che abbraccia materna case e palazzi. C’é la pioggia fitta che taglia il paesaggio. C’é una struggente saudade, questa parola che é intraducibile in italiano e che piú o meno suona come la malinconia, la tristezza, la mancanza e la nostalgia di qualcosa. Ma c’é anche il brillio dei suoi lampioni lungo il fiume, la luce dell’acqua del Douro, c’é un’atmosfera indimenticabile. Porto é stregata, é vecchia, é trascurata, é trasandata, é sporca, é folle, é squilibrata, é difficile, é impercorribile, é restia, é pericolosa, é diffidente… é bellissima.

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