A Porticello pescando le bombe

di Danila Giardina

La brutta storia dell’esplosivo sui fondali al largo di Porticello (Santa Flavia, Pa) – eredità dei bombardamenti delle truppe alleate dal 1942 al 1943 – davanti capo Zafferano ed in generale nel Golfo di Palermo, è nota. Spesso veniva ripescato e conservato nei magazzini in cui i pescatori riponevano le reti. Dal 2009, poi, si sa che il tritolo utilizzato per le stragi di mafia che costarono la vita ai giudici Falcone e Borsellino nel ‘92 e subito dopo per le stragi mafiose di Firenze, Roma e Milano, proveniva proprio dal piccolo Comune della provincia di Palermo (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/12/27/esplosivo-per-le-stragi- portato-dai-pescherecci.html).

La notizia che ha fatto balzare di nuovo agli onori delle cronache, se così si può dire, il centro marittimo di Porticello è il recente arresto di Cosimo D’Amato, detto “u marruoccu”. Incensurato e insospettabile, D’Amato a Porticello una volta faceva il pescatore, ma fu anche autista e uomo di fatica. Un giorno, forse più d’uno, consegnò al cugino Cosimo Lo Nigro, boss condannato per le stragi del’92, ingenti quantitativi di esplosivo ripescato in mare. (a sinistra, foto tratta da travelitalytravel.com)

In un’intercettazione telefonica che risale al 28 aprile del 1994, D’Amato dice a Lo Nigro di avere ”una cassetta di pesce” da consegnare. D’Amato avrebbe poi ricevuto una ricompensa per il suo lavoro: il pentito Gaspare Spatuzza, che riferisce i fatti, aggiunge infatti che a D’Amato fu detto ”ti bagniamo le mani bene”.

La cassetta di pesce indicherebbe in codice l’esplosivo. Di fronte all’enormità di queste notizie, il borgo marinaro di Porticello sembra aver perduto la parola. Fra i divieti, i decreti di fermo pesca e le reti a maglie sempre più larghe che sono costretti ad adoperare, molti pescatori dicono di pensare solo a guadagnarsi il pane in mare. Ma col silenzio e col tempo nel territorio si sono verificati diversi altri eventi, certo meno gravi ma emblematici. (a destra, due esemplari di pescespada pescati nelle acque di Porticello)

Sporcizia e degrado si sono quasi impossessati del paese delle ‘pirriere’ (le tipiche grotte ricavate dalle cave di tufo), situato in uno dei più suggestivi tratti di costa della Sicilia e ‘titolare’ della seconda flotta peschereccia della Regione. Il porto è diventato quasi un immondezzaio: banchine diroccate e maleodoranti, senza alcun tipo di vigilanza e controllo visibili, in cui i furti sono quasi all’ordine del giorno; barche che sembrano ormeggiate una sull’altra; rifiuti che affiorano o che si intravedono sott’acqua, come natanti semiaffondati e scarti di pesce del mercato ‘open air’ della domenica mattina (in questo periodo si vendono decine di pescespada da cinque-sei chili ad un prezzo che è un vero affare).

Così ridotto, il paese non è certo invitante, e l’eventualità di possibili visite indesiderate è dunque scongiurato. In quarant’anni dall’avvio del progetto non è stato possibile costruirvi nemmeno il depuratore. L’area che era stata individuata per l’ubicazione del sospirato ‘polmone d’ossigeno’ per lo smaltimento delle acque nere e bianche, oggi sta per essere ‘urbanizzata’, cioè lottizzata, ad opera dei proprietari sfuggiti allo spettro espropriazione per pubblica utilità.

In tutta la zona, fino a Sant’Elia, vige il divieto di balneazione. Ed il depuratore, quando e se sorgerà, si troverà nella parte più bella ed esposta al mare di Porticello, cioè Piano Stenditore. In questo delicato contesto, i ritrovamenti ‘esplosivi’ sono stati piuttosto frequenti. Tanti pescatori trovavano, impigliati nelle reti a strascico, ordigni di vario tipo. Le bombe ritrovate venivano impiegate per pescare di frodo, di certo fino ad una quindicina di anni fa, relegando la borgata al suo destino paese dove si esercita l’attività di pesca più o meno legale, col suo rinomato mercato ittico ed i grandi e piccoli traffici di droga scoperti di tanto in tanto. E distinguendosi sempre più, nel tempo, per essere una zona franca, in cui le regole sono off limits e ognuno si fa i fatti suoi.

Anzi, come ha detto qualcuno che preferisce l’anonimato, sulla vicenda del ‘marruocco’: “Se D’Amato è colpevole, tutti siamo colpevoli, non è possibile; tutti sapevano dell’esplosivo, lui era un povero morto di fame e faceva come facevano tutti. Che ne poteva sapere della destinazione di quel tritolo?”. D’altronde, nel comprensorio flavese almeno una generazione di bambini ha guardato i programmi per ragazzi dell’epoca, come Rin Tin Tin, nei garage dove fra nasse, palangari e lenze c’erano siluri e bombe inesplose: al centro c’era anche la grande televisione a gettoni.

Nel 1974 furono sequestrati oltre settecento chilogrammi di tritolo nel cuore di Porticello. “La notizia fa scalpore in tutta Italia perché diramata dal TG 1. A Porticello passa inosservata perché, come dice l’attuale Sindaco, la pratica illegale della pesca di frodo con l’esplosivo era usuale”, racconta Salvino Roccapalumba, porticellese ‘doc’ e sindaco di Santa Flavia dal 1993 al 1997, all’indomani dello scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. Tutti sapevano dell’esplosivo.

“Apprendere che dell’esplosivo in quantità industriale possa essere stato fornito da un porticellese alla mafia per uccidere Falcone e Borsellino – aggiunge Roccapalumba – mi indigna come porticellese e mi indigna ancora di più il fatto che, appresa la notizia, nessuno abbia pensato di organizzare una manifestazione di popolo per affermare il principio che i pescatori porticellesi non sono mafiosi”.

La sua è una voce fuori dal coro. Insieme ai molti porticellesi increduli, c’è anche l’attuale Sindaco di Santa Flavia, Salvatore Sanfilippo. Che alla stampa ha dichiarato che “Cosimo D’amato è una persona che campa alla giornata nel settore del pesce con lavori che non rendono poi tanto da un punto di vista economico. Non è certo un tipo da potere definire mafioso”(Giornale di Sicilia, 13/11/12).

D’Amato è accusato di strage, devastazione e di detenzione di un ingente quantitativo di esplosivo, per aver concorso agli attentati, tra l’altro, con i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Filippo e Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro: non di pesca di frodo. L’ex Sindaco Roccapalumba assesta poi una stoccata all’attuale Governo della città: “La colpevole disattenzione per fatti così gravi fa il paio con la totale disattenzione della collettività per quel che accade in Comune. Solo dopo cinque mesi siamo al primo rimpasto. La collettività apprende la notizia con rassegnazione e disinteresse tale da creare il sostrato culturale di totale scollamento con la politica e le istituzioni, terreno fertile per il decadimento culturale e humus per il malaffare a tutti i livelli. Com’è possibile che il maggiore rappresentante di una comunità, il Sindaco, si esprima in questi termini su fatti tanto gravi?”.

Sull’ipotesi di commissariamento del Comune, però, è scettico: “Se si arrivasse ad un commissariamento, io sostengo che non risolveremmo il problema perch* vanno via i politici e restano i funzionari che, a livello gestionale, hanno pari responsabilità. Ma è sempre il cittadino a pagare le conseguenze di una politica dissennata o di basso profilo; è un conto salato, che si traduce in indifferenza e disimpegno”. E a volte anche in complicità.

 


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