Volti e nomi contro la mafia lungo la cinta del carcere cittadino e, non a caso, di fronte una scuola. E' l'opera realizzata dall'associazione antiracket etnea che questa mattina ha inaugurato, alla presenza dei familiari delle vittime, un murale che raffigura Paolo Borsellino, Alfredo Agosta, Pippo Fava, Beppe Montana, Libero Grassi, Giovanni Lizzio, Luigi Bodenza e Serafino Famà. Guarda le foto
A piazza Lanza i volti dell’antimafia Addiopizzo: «Ricordare per cambiare»
Riconoscere l’importanza della memoria come primo passo nella lotta alla mafia. E’ questo il messaggio lanciato dai ragazzi di AddioPizzo Catania con il progetto Un muro contro la mafia, iniziato un anno fa con le raffigurazioni del giudice Falcone e Borsellino realizzate lungo l’asse della circonvallazione etnea e conclusosi oggi con l’inaugurazione del murale sulla parete del carcere di Piazza Lanza con i volti di Alfredo Agosta, Pippo Fava, Beppe Montana, Libero Grassi, Giovanni Lizzio, Luigi Bodenza e Serafino Famà «per far sì che tutti conoscano la storia di queste persone e che al ricordo segua anche il cambiamento», spiega Salvatore Grosso dell’associazione.
«Cambiamento che deve partire da ognuno di noi», interviene Dario Montana, fratello di Beppe Montana, commissario di polizia ucciso da Cosa Nostra nel 1985. «Le storie che quei volti rappresentano non sono vicine solo a noi familiari. Siamo tutti legati nella voglia di cambiare questo pezzo di mondo in cui viviamo. Ognuno col suo ruolo, dalle istituzioni ai singoli cittadini».
«Quelli che oggi ricordiamo sono persone che hanno solo scelto di fare con rigoroso spirito etico il loro lavoro», dichiara Elena Fava, figlia di Giuseppe Fava, giornalista ucciso a Catania 29 anni fa. «Non serve fare grandi battaglie ma avere il coraggio di andare avanti a schiena dritta, sempre», continua. «Purtroppo Catania è una città con la memoria corta. Sempre protesa al futuro ma che non sa guardare al proprio passato. Questo murale è imporante perché rappresenta la memoria, ma anche il pungolo per il luogo in cui è stato realizzato – dice Elena – Pensiamo a quanti sono oltre quel muro, in carcere, e alla possibilità di un loro recupero. E ai ragazzi della scuola di fronte a quel muro (la scuola media Maiorana, ndr) a cui va ricordato che la mafia non è solo un concetto, ma qualcosa di materiale che si manifesta quando manca la capacità di riflettere, ribellarsi e denunciare».