Dalle strade di Siracusa agli impianti di illuminazione a Nicosia fino all'adeguamento alle norme antincendio dell'ospedale di Licata. Tutto è stato rallentato dallo stop della Corte costituzionale alla norma regionale. Il punto con l'amministrativista etneo
Appalti, si fermano le gare con la legge incostituzionale Cariola: «Errato non riconoscere potere alla Regione»
Lavori stradali a Siracusa, il rifacimento della pubblica illuminazione a Nicosia, ma anche l’adeguamento dell’ospedale di Licata alle norme antincendio. E poi riqualificazioni di palazzi storici e centri commerciali naturali. Lo stop della Corte costituzionale alla legge regionale sugli appalti approvata dall’Ars nell’estate 2019 ha causato una serie di rallentamenti nelle procedure di gara in itinere nelle tante stazioni appaltanti presenti nell’isola. Molte le procedure che sono state sospese, in attesa di modificare i documenti di gara. Un epilogo scontato, considerato quello che comporterebbe un’eventuale decisione di andare avanti con una legge la cui incostituzionalità è ufficiale.
I sospetti, a dire il vero, erano emersi negli stessi giorni in cui la norma era stata discussa dai deputati, ma il governo Musumeci aveva deciso di andare avanti e accettare il confronto davanti ai giudici delle leggi. Ritenendo di avere tutte le ragioni per attuare disposizioni che – a detta del presidente della Regione e dell’assessore alle Infrastrutture Marco Falcone – avrebbero migliorato le opportunità sia per gli imprenditori che per la stessa pubblica amministrazione, grazie all’utilizzo obbligatorio del criterio di aggiudicazione del minor prezzo per tutte le gare svoltesi con la procedura aperta e di importo inferiore alla soglia comunitaria e una revisione delle modalità di calcolo della soglia di anomalia che, di fatto, avrebbe comportato ribassi più contenuti.
«Questo ha portato al beneficio di lavori aggiudicati con un ragionevole utile di impresa, scongiurando il rischio che offerte troppo al limite potessero incidere sulla qualità delle opere», ha commentato Falcone poche ore dopo il pronunciamento della Consulta. E se ciò non ha esentato da critiche il governo regionale, c’è però anche chi crede che non tutte le posizioni della Regione dovevano essere sconfessate in sede di esame della Corte.
Il professore Agatino Cariola è tra quelli. Per il noto amministrativista etneo, il rilievo secondo cui la Regione Siciliana non avrebbe avuto titolo a orientare con una propria legge il tipo di criterio da usare per lo svolgimento delle gare, tra il minor prezzo e l’offerta economicamente più vantaggiosa, potrebbe essere messo in discussione. «Non dovrebbero escludersi normazioni regionali proconcorrenziali in misura maggiore di quelle stabilite dal legislatore statale, specie se in diretta esecuzione di discipline di fonte europea – si legge in una relazione firmata da Cariola – Storicamente in Sicilia ampia parte della legislazione è stata dedicata alla disciplina degli appalti di lavori e di servizi pubblici». Lo stesso codice degli appalti prevede che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome «adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione».
Entrando nel dettaglio, per l’amministrativista il fatto che la Regione Siciliana abbia deciso di dare un indirizzo alla scelta del criterio di aggiudicazione che, codice alla mano, sarebbe di volta in volta in capo alle singole stazioni appaltanti non avrebbe costituito un’ingerenza nelle competenze statali. Specialmente nel momento in cui, nel 2019, il codice degli appalti è stato aggiornato eliminando la precedente preferenza nei confronti dell’offerta economicamente più vantaggiosa. «Per il legislatore statale sono criteri egualmente idonei ad assicurare la tutela della concorrenza. La scelta tra l’uno e l’altro dovrebbe essere fatta dalla stazione appaltante. Il problema allora – continua Cariola – diviene quello di stabilire se tale scelta debba essere fatta volta per volta oppure se la stazione appaltante possa pre-determinare in via generale il criterio di aggiudicazione dei contratti».
Sul punto, Cariola sottolinea che «da tempo si è rilevato che il potere discrezionale attribuito a un’amministrazione le consente di prefissare i criteri della sua azione. Tra la norma di legge e l’attività concreta vi è uno spazio più o meno ampio – prosegue – e se la pubblica amministrazione può agire in applicazione della norma di legge, può anche utilizzare parte di tale spazio lasciatole libero per disciplinare la successiva attività». Dove, invece, l’azione della Regione sarebbe risultata squilibrata è nel delimitare il perimetro di applicazione della norma: secondo Cariola, l’espressione generica di stazioni appaltanti operanti «nella Regione siciliana» avrebbe rischiato di includere anche le stazioni statali che hanno gli uffici in Sicilia ma che non per questo si sarebbero potute ritenere «obbligate ad applicare la disciplina regionale».
Questo passaggio rimanda anche a un altro tema attinente il mondo degli appalti pubblici in Sicilia: l’elevatissimo numero di stazioni appaltanti. A riguardo non sono mancati i tentativi di centralizzare parte delle procedure, ma finora i risultati non sono stati invidiabili, basti pensare ai numerosi scivoloni – con tanto di conseguenze giudiziarie – che, in questi anni, si sono registrati alla Centrale unica di committenza.