Beni confiscati, annullato ordine di sgombero ad Acireale L’agenzia nazionale non ha tenuto conto di una sentenza

Una sentenza rimasta sepolta per oltre dieci anni in un cassetto del tribunale, o quantomeno lontana dai tavoli dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati (Anbsc). C’è questo dietro il mancato sgombero dell’immobile di via Mortara, ad Acireale, ufficialmente tolto a Giuseppe Cavallaro. L’uomo, accusato di avere avuto rapporti con i clan attivi nella città dei cento campanili, nel 2003 era stato destinatario di un procedimento di confisca definitiva. A quella decisione, quasi tre lustri dopo, è seguita la concessione del bene al Comune. Un atto che però è rimasto solo sulla carta, in quanto Cavallaro e la moglie Maria Russo non hanno mai abbandonato la casa. Quella che sembrava una delle tante storie di beni occupati, nonostante i provvedimenti della giustizia, si è trasformato in altro. In qualcosa che somiglia a un grande flop delle istituzioni.

Qualche settimana fa, al Comune di Acireale è arrivata una lettera dell’Anbsc in cui, rispondendo al sollecito dell’ente in merito all’esigenza di avviare le procedure per liberare la casa di via Mortara, è stato comunicato che di fatto l’ordinanza di sgombero emessa nel 2018 non ha più alcuna validità. Ad annullarla, infatti, è stato il Tar del Lazio che l’anno scorso ha accolto un ricorso presentato dalla consorte di Cavallaro. I legali della donna hanno portato all’attenzione dei giudici amministrativi una sentenza del 2008, in cui il tribunale civile di Catania riconosce nei suoi confronti «l’inefficacia del provvedimento di confisca emesso nel 2003». D’altronde a essere accusato di avere rapporti con la mafia era stato il marito, non lei. 

A consolidare le ragioni di Russo è stato poi il fatto che la proprietà di via Mortara era stata acquistata in regime di condivisione dei beni. A dare ragione alla donna, nel 2018, è stato anche il Tar di Catania nell’ambito di un ricorso contro un’altra ordinanza di sgombero stavolta emessa dall’Agenzia del Demanio. In entrambe le circostanze, i tribunali amministrativi hanno chiarito che le ordinanze risultano viziate già in fase d’istruttoria nel momento in cui «non ha tenuto conto delle statuizioni del tribunale civile».

Gli stessi giudici, tuttavia, rimarcano come una soluzione da mettere in campo ci sarebbe potuta essere e sarebbe passata dal «garantire alla ricorrente la disponibilità della propria quota di proprietà, eventualmente anche attraverso il recupero del valore economico della stessa». Ovvero l’Agenzia nazionale per i beni confiscati avrebbe potuto offrire un indennizzo alla moglie di Cavallaro e, di conseguenza, legittimamente ambire ad acquisire l’immobile di via Mortara nella sua totalità. «Il contrasto alla criminalità organizzata è fondamentale e deve passare anche per il recupero dei beni acquisiti in maniera illecita – commenta il sindaco Stefano Alì a MeridioNews – Per questo dico che bisognerebbe fare in modo di mettere in condizioni le istituzioni di completare le procedure, senza incappare in questo tipo di sorprese che rappresentano una sconfitta per lo Stato».

Leggendo gli atti ufficiali che hanno, di fatto, azzerato gli effetti della confisca anche per Cavallaro, sembrerebbe emergere un rimpallo di responsabilità. L’Agenzia, comunicando che esiste un contenzioso riguardante «la richiesta di indennità per abusiva occupazione inoltrata alla signora Russo per il 50 per cento dell’immobile», ha specificato di avere chiesto all’autorità giudiziaria penale i necessari chiarimenti sul da farsi, considerata la titolarità sulla misura ablativa. Nella sentenza amministrativa, invece, il Tar annulla l’ordinanza di sgombero «fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l’Agenzia sarà tenuta ad adottare».


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