Lydia Giordano racconta Sant’Agata con la mascherina «I suoi occhi sono un po’ tristi, forse per ciò che vede»

È una Sant’Agata attivista quella che Lydia Giordano, attrice e artista catanese, ha rappresentato in un disegno su tavoletta grafica che in pochi giorni ha fatto il giro dei social con una valanga di commenti e condivisioni. Una Sant’Agata con una mascherina fatta di gioielli che le copre in parte il viso, lasciando però scoperta una parte della bocca, che diventa un tutt’uno con le pietre preziose che compongono la mascherina che porta a mo’ di monito.

«Non voleva essere né una provocazione né un’offesa e per fortuna non è stato letto così – spiega Lydia a MeridioNews. Non sono estremamente fedele o praticante, ma mia madre mi ha sempre insegnato ad avere un enorme rispetto delle fedi altrui». È, più che altro un’occasione per riflettere in assenza. «A me, nella vita, è successo spesso nell’assenza fisica degli eventi reali, vedere sempre più forte la luce, il motore reale di una persona, di un evento o, come in questo caso, di una “patrona”». Nella rappresentazione del mezzo busto di Sant’Agata il viso è l’unica parte che resta scoperta dai gioielli. Qui, invece, è coperto da una mascherina fatta proprio con i gioielli. Come se lei stando a casa, stando chiusa, ci desse l’esempio per difenderci da noi stessi

«Sant’Agata è mille ricordi per ognuno di noi. Ricordo che quando morì mia madre il funerale lo abbiamo fatto nella chiesa di Sant’Agata e c’era una forte connessione tra la Santa e le donne. I tre giorni di festa sono importanti per i catanesi, anche per chi è meno fedele o praticante. Per me, per esempio, è il ricordo di mia mamma che una volta, alle 4 di notte, mi ha svegliato a sorpresa e mi ha portato a vedere la Santa. Ero piccolissima e questa cosa mi riempì di gioia. Questo per dire che per molti di noi è un punto di riferimento, una persona a cui vogliamo bene. E con grande forza e grande dignità dà l’esempio a noi, che per chiedere le grazie per noi e per i nostri cari potremmo finire per farci del male».

«Santi, genitori, figure del passato, ricordi, poeti. Sono tutti riferimenti di cui abbiamo bisogno adesso, perché ci aiutino in un’azione di scelta e di responsabilità», dice l’artista, che riferendosi al disegno aggiunge: «Mi sono resa conto che gli occhi sono venuti un po’ tristi. Forse per quello che vede, per quello che succede, perché a volte il suo nome viene strumentalizzato, così come la sua festa. O semplicemente per tutto il dolore e il disastro di quest’anno, per quella paura che ci spinge al bisogno di credere, di avere fiducia e di agire».

Fiducia in un’icona che per Lydia ci spinge a tendere verso la parte più luminosa di noi. «Vorrei che fosse un’opportunità per portarci verso la nostra parte migliore e che potesse dare la forza, lei che è stata uccisa con strumenti di tortura, lei a cui hanno tolto il seno, la parte della donna legata al nutrimento, alla femminilità, alla sensualità che per forza doveva essere mortificata, a tutte quelle donne chiuse a casa non possono scappare dalla violenza domestica. È sconvolgente quanto ancora ce ne sia».

Cosa ne sarà di questo disegno ora che è diventato un simbolo per i catanesi? «Non ne ho idea, l’ho fatto qualche giorno fa in un attimo. Come al solito penso, guardo, elaboro e poi viene fuori. Non mi aspettavo tutte queste condivisioni, mi fa molto piacere perché è un momento buio e sono contenta che sia diventato veicolo di condivisione di un messaggio o di un’idea. Sarebbe bello stamparlo molto grande, non saprei neanche dove metterlo. Magari me lo suggeriranno i catanesi stessi, magari potremmo disegnarla tutti insieme. Disegno da sola da troppo tempo e mi piacerebbe fare dei disegni insieme ad altri artisti. Potremmo dipingere una Sant’Agata grande dove ognuno disegna il proprio gioiello, il proprio omaggio, il proprio fiore», suggerisce Lydia, che le caratteristiche dell’artista le ha tutte.

«Sono pazza, confusa, istintiva, ininterrottamente in lotta con me stessa. Vedo questo magma iperemotivo che ho dentro che continua a reagire e a volte sono d’accordo, a volte no. E quando non lo sono cerco di intervenire con una maestra. Sono difficile da gestire. Cerco di imparare a pensare prima di parlare, cerco di avere pietà di me e di piacermi per le cose belle che faccio. E mi fa sempre grande gioia e grande stupore quando riesco a dare una forza o una luce ad altri o a creare un’interazione fra l’emotività e il colore o il corpo o la voce. Facendo sì che la guerra che ho dentro, il travaglio che subiscono dentro di me emozioni, vissuto e ricordi malinconici si traducano in qualcosa. È bello quando succede, non mi ci abituo mai».

Si perde nei ricordi Lydia, è un fiume in piena quando parla e racconta. «Una volta in un teatro c’era dipinto a mano Disciplina e diletto. E nella mia lotta personale cerco sempre di pensare a queste due parole, divertimento da una parte e regole dall’altra. Che in questo momento è la cosa più difficile. Riuscire a stare bene, nonostante le regole». 


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