Una settimana fa è ripreso il processo Sibilla, nato dal blitz che nel 2018 ha scosso la città dei cento campanili portando alla conclusione anticipata dell'esperienza da primo cittadino dell'ex delfino di Nicola D'Agostino
Acireale, il ritorno in aula dell’ex sindaco Barbagallo Quasi un’ora per difendersi dalle accuse della procura
Cinquanta minuti. Tanto è durato l’esame di Roberto Barbagallo davanti ai giudici del tribunale di Catania, nel processo che lo vede imputato per induzione indebita a promettere utilità. L’ex sindaco di Acireale è comparso davanti alla terza sezione penale, presieduta da Rosa Alba Maria Recupido, una settimana fa. Un’udienza in cui Barbagallo ha ripercorso le vicende che, a febbraio di due anni fa, misero fine in anticipo alla sua esperienza amministrativa con l’arresto nel blitz Sibilla, che coinvolse dirigenti comunali, funzionari, professionisti e imprenditori.
L’ex primo cittadino, da anni ormai fuori dalla scena politica acese, ha risposto alle domande poste dalla giudice e dai legali, gli avvocati Enzo Mellia e Piero Continella. L’accusa, invece, rappresentata dal pm Fabio Regolo, ha scelto di non chiedere nulla. Al centro dell’attenzione, come prevedibile, la questione riguardante le presunte pressioni che Barbagallo avrebbe fatto a due venditori ambulanti, anche loro a processo, con l’intento di ottenere da loro sostegno elettorale. Voti che, secondo la procura, sarebbero dovuti andare al deputato Nicola D’Agostino. Tale collegamento nasceva da due elementi: il legame che intercorreva tra i due e il fatto che D’Agostino (non indagato) da lì a poche settimane – era l’autunno 2017 – avrebbe corso per la rielezione all’Ars.
«M’aggiuva na cosa elettorale». La frase pronunciata da Barbagallo all’interno della propria stanza e rivolta al luogotenente della polizia municipale Nicolò Urso, anche lui tra gli imputati, rappresenta uno dei pilastri su cui poggia l’impianto accusatorio. L’ex sindaco, tuttavia, ha ribadito la propria versione: il riferimento alle elezioni non era rivolto alle imminenti Regionali, quanto a quelle che, nel 2014, lo avevano visto vincitore al ballottaggio. Parlando con il vigile urbano, Barbagallo avrebbe ricordato a quest’ultimo che quello dei controlli nei confronti del settore del commercio ambulante rientrava tra i punti inseriti nel proprio programma elettorale.
Ci sarebbe invece un errore di interpretazione e trascrizione all’origine della frase «abbruciamo i catti (le carte, ndr)», pronunciata da un parente dei Principato. Per la procura, l’espressione sarebbe indicativa del rapporto che sarebbe intercorso tra gli ambulanti e Barbagallo in merito alla disponibilità a regolarizzare qualsiasi criticità a livello amministrativo, anche a costo di bruciare documenti. Per la difesa dell’ex primo cittadino, invece, l’intercettazione andrebbe tradotta in italiano come «bruciamo le tappe» e sarebbe da inserire in un contesto del tutto lecito. Nel corso della propria deposizione, Barbagallo ha fatto leva anche sulla mole delle telefonate intercettate dalla guardia di finanza, i cui contenuti non avrebbero mai rivelato nulla di anomalo. Il processo riprenderà nelle prime settimane del 2021.