Palermo, la Carovana antimafie e i giovani «Tenete sempre schiena dritta e testa alta»

«La nostra scuola oggi rappresenta tutta la città». Giada ha 17 anni e frequenta un istituto scolastico con un progetto peculiare. L’edificio che la ospita si trova in un punto particolare di Palermo. A due passi da via D’Amelio, i ragazzi dell’Istituto tecnico commerciale Duca Abruzzi, oltre alle normali lezioni, partecipano ad un progetto che unisce cultura e antimafia. Per questo motivo la Carovana, giunta al suo secondo giorno in Sicilia, vi ha fatto tappa. Ai ragazzi vengono snocciolati i numeri, le cifre che mostrano quale danno economico e sociale provochi la criminalità organizzata a tutto il Paese. Il 17 per cento del prodotto interno lordo sfumato, un’evasione fiscale per cento miliardi di euro l’anno, 400mila lavoratori sfruttati.

È anche per difendere e incrementare questo immenso patrimonio che le vittime di tutte le mafie sono state uccise. I giovani studenti si alternano nella lettura dei loro nomi, riportati anche su un grande cartellone sulla facciata della scuola. Ma per far capire loro come incanalare la giusta indignazione che puntualmente monta ad ogni nome che risuona nelle orecchie, Alfio Foti e Rita Borsellino raccontano loro com’è nata l’idea di portare in giro per tutte le regione d’Italia (e non solo) gruppi di volontari in un percorso da Sud a Nord.

Da persona timida quale si descrive, la sorella del giudice Borsellino mai avrebbe pensato di mettersi in viaggio per incontrare persone in tutta Italia. Tutto nasce due anni dopo le stragi del 1992, in un momento nel quale sembra che il clima di opposizione a Cosa nostra sia scemato e la società civile sia ritornata dormiente. Eppure, racconta Borsellino, sono gli anni in cui vengono eletti direttamente i sindaci, lasciati ora da soli a confrontarsi con territori che rischiano di ritornare silenti. Per questo motivo la proposta di Foti, all’epoca responsabile dell’Arci regionale, viene accolta immediatamente. Come spiega lui stesso, «mettere nuovamente la questione al centro» era prioritario.

È grazie al racconto dell’esperienza della prima Carovana che si riesce ad avere uno spaccato del momento particolare. A Corleone, ad esempio, il primo gruppo viene accolto solo dai bambini delle scuole del paese. Qualche anno dopo il numero aumenta, con una partecipazione sempre più intensa. «Questa crescita – spiega Rita Borsellino – si è sviluppata e si protrae di anno in anno, coinvolgendo anche i ragazzi dei campi lavoro e delle cooperative». Il rapporto con i giovani è definito fondamentale: «Le scuole sono sempre state le prime, le più attente ad accogliere messaggi di questo tipo».

«Tenete sempre schiena dritta e testa alta», è la frase che Vincenzo Agostino rivolge ai ragazzi. Il figlio Antonino, sua moglie Ida e il figlio che la donna portava in grembo sono stati uccisi dalla mafia. Antonino Agostino, infatti, era a conoscenza di dettagli importanti sul fallito attentato dell’Addaura. Subito dopo la sua morte, sono spariti gli appunti che l’uomo aveva conservato in un armadio. Da quel giorno per i suoi genitori è iniziato il lungo calvario alla ricerca della verità. Qualche mese fa è stato proprio l’incontro con i coniugi Agostino a spingere i ragazzi della scuola a conoscere meglio quel concetto così ricco di sfumature negative che è la mafia. E, al termine dell’incontro, le immagini del matrimonio di Antonino Agostino e quelle del suo funerale stridono in maniera fortissima tra loro, lasciando impressa nella mente un imperativo categorico: dire no a tutto quello che ha provocato così tanto dolore e morte.


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Mercoledì seconda giornata in Sicilia per i volontari guidati per l'occasione da Rita Borsellino, la sorella del giudice ucciso da Cosa nostra nel 1992. Tappa palermitana per incontrare i ragazzi dell'Istituto tecnico commerciale Duca Abruzzi, proprio in via D'Amelio, luogo dell'attentato, dove gli studenti hanno letto ad alta voce i nomi delle vittime della criminalità organizzata. Guarda le foto

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