Il provvedimento riguarda un'attività commerciale con sede nel capoluogo partenopeo. Nel mirino anche la compagna Maria Rosa Campagna che, in passato, avrebbe avuto un ruolo privilegiato nel traffico di droga con Olanda e Sud America
Mafia, confiscato bar-pizzeria al boss Turi Cappello Etna e Vesuvio uniti nel nome dello storico padrino
In carcere dal 1992 ma comunque capace di portare avanti attività commerciali e affari. Passano nella disponibilità dello Stato alcuni beni riconducibili al boss mafioso Salvatore Turi Cappello. Il decreto riguarda una società che opera nel settore della ristorazione con sede a Napoli. Nello specifico si tratta del bar-pizzeria I due vulcani di via Alessandro Volta. Un nome non causale, simbolo della vicinanza tra l’Etna e il Vesuvio. La storia criminale di Cappello, storicamente rivale della famiglia catanese di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano, passa spesso per il capoluogo partenopeo anche in relazione alla vicinanza con alcuni pezzi della Camorra.
A Napoli è nata e ha la sua residenza anche Maria Rosa Campagna, ossia la compagna del noto capomafia. Alla donna, attualmente detenuta, è stato disposto l’obbligo di soggiorno per tre anni e la sorveglianza speciale. In passato coinvolta nell’operazione Penelope, secondo gli investigatori per anni avrebbe assunto un ruolo decisivo: «Una donna con le palle», veniva definita nelle intercettazioni, per l’importazione di centinaia di chili di cocaina dal Sud America. Tanto da comparire tra gli indagati della maxi indagine European ‘Ndrangheta connection della procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
Il valore totale dei beni confiscati dalla divisione Anticrimine della polizia e dalla squadra mobile di Catania, ammonta a circa centomila euro. Oltre al ristorante, i sigilli sono stati apposti anche a un immobile intestato a Salvatore Santo Cappello, figlio del capomafia, e a un motociclo intestato alla compagna del boss. Nonostante il regime del carcere duro, il capomafia etneo avrebbe continuato, grazie alla compagna, a comunicare con l’esterno e a gestire alcuni affari del clan. Particolare, quest’ultimo, emerso già nell’operazione Penelope della procura di Catania.