Tre ricercatori dell'Istituto nazionale di fisica e vulcanologia hanno messo a punto uno studio, pubblicato su una rivista scientifica, sulla mappatura delle fratture tettoniche attive nell'area vulcanica etnea. Con un contenuto extra: un sistema che ne permette la visualizzazione online tramite la famosissima applicazione georeferenziata, acquistabile a circa 30 dollari. E rivolto anche agli addetti alla pianificazione del territorio, con cui individuare facilmente l'ubicazione di un segmento potenzialmente pericoloso
Etna, database delle faglie su Google Earth Ingv: «Strumento utile a prevenire i rischi»
E se casa vostra o i luoghi che frequentate di solito si trovassero proprio sopra ad una faglia tettonica attiva? Un rischio molto probabile per edifici e infrastrutture costruiti nei paesi che si poggiano sull’area vulcanica dell’Etna. Per scoprirlo, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha messo a punto una mappatura, raccolta in un database georiferito, di tutti i principali sistemi di faglie etnee attive. Lo scopo? Realizzare una sorta di «anagrafe», dove le fratture possano essere «registrate, catalogate e visualizzate anche in funzione di tutta una serie di parametri utili per la prevenzione e pianificazione, ma anche per la gestione delle emergenze», utilizzabile «sia in ambito puramente scientifico, sia dai tecnici addetti alla pianificazione territoriale operanti presso gli uffici pubblici».
Sì, perché edifici e infrastrutture costruiti alle pendici dell’Etna non sono in pericolo solo durante i terremoti. Un’altra minaccia alla solidità delle strutture è data appunto dalle faglie, quelle «fratture tettoniche in cui il terreno si muove in direzioni diverse», spiega Marco Neri, ricercatore e vulcanologo dell’Ingv Catania, causando gli episodi sismici a cui gli etnei sono abituati. Ma che possono essere caratterizzate anche da un lento movimento continuo che, a lungo andare, può causare la rottura delle strutture. «Se su una di queste faglie si costruisce una strada o una casa, c’è il pericolo che prima o poi si rompa».
Uno studio importante, per individuare e prevenire possibili pericoli. «Ci sono alcune aree dell’Etna – spiega Neri – in cui non ci sono faglie, zona franche. Altre, invece, sono densamente fratturate e interessate da faglie attive». In cui, come precisa il vulcanologo, il movimento del terreno si può manifestare con due diversi meccanismi. «Il primo è il classico terremoto, quando la frattura si muove in direzioni diverse e accumula energia che poi si sviluppa tutta in una volta». Oppure con il cosidetto creep asismico. Ovvero, quando «i lembi opposti della faglia si spostano con un movimento lento e continuo, che non produce terremoti, ma non per questo è meno pericoloso. Si regista uno spostamento annuale che può raggiungere anche alcuni centimetri», sottolinea. Provocando, a lungo andare, la rottura certa di tutto quello che c’è costruito sopra. «Nella zona etnea a nord del vulcano – afferma il vulcanologo – c’è una tra le faglie di questo tipo più attive del mondo. E’ caratterizzata da un movimento misto (sia sismico che asismico), è lunga più di 18 chilometri e si estende all’incirca da Piano Provenzana fino a Fondachello. L’auostrada Catania-Palermo – continua Neri – ci passa sopra e spesso devono essere effettuati degli interventi per rattoppare la rottura del terreno».
Un esempio di visualizzazione delle faglie georeferenziate con Google EarthIl database, e la parametrizzazione delle faglie che sta dietro alla sua realizzazione, sono stati oggetto di un articolo scientifico – firmato da Marco Neri e dai colleghi vulcanologi Giovanni Barreca e Alessandro Bonforte – pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Volcanology and Geothermal Research. In cui – spiega una nota di presentazione – «oltre alle informazioni prettamente geografiche e geometriche di ciascuna struttura tettonica, sono stati definiti e creati per tutte le faglie tutti gli appositi campi numerici e testuali necessari per descriverne e caratterizzarne la tipologia, il movimento, la potenzialità di generare terremoti e leventuale connessione con lattività eruttiva del vulcano». Non si tratta di una ricerca giunta alla fine, ma di un «elemento aperto in cui è trasferita l’attuale conoscenza delle faglie tettoniche dell’area etnea, pronta ad essere implementata in qualsiasi momento con nuove informazioni», sottolinea il vulcanologo. In più, «attraverso specifiche interrogazioni, il database è in grado di produrre una grande varietà di mappe di pericolosità e vulnerabilità».
Ad accompagnare l’articolo una vera chicca tecnologia: un contenuto extra elettronico che consente di rappresentare i dati delle faglie direttamente online. Attraverso Google Earth, infatti, si può vedere esattemente – con una visualizzazione in dettaglio e in 3d, che arriva ad individuare persino le abitazioni – dove sono ubicate anche quelle non visibili in superfice, basandosi sulle informazioni raccolte nel database. Questo grazie ad un sistema di localizzazione Gps. In più, cliccando su ogni linea tettonica (evidenziate nel sistema da diversi colori), si apre una finestra che contiene le informazioni di base di quell’elemento strutturale (ad esempio lunghezza, sismicità, relazioni con il vulcanismo). «Informazioni utili per chi si occupa di pianificazione del territorio – sottolinea Neri – che possono servire ad individuare un segmento di faglia potenzialmente pericoloso». Per questo, le istituzioni o gli addetti all’edilizia che volessero entrare in contatto con l’applicazione, «possono anche contattarci e cominciare un’eventuale collaborazione con l’Ingv», afferma Neri.
Il sistema di visualizzazione delle faglie con Google Earth è un prodotto elettronico – per il momento – associato esclusivamente alla rivista Journal of Volcanology and Geothermal Research ed è disponibile solo a pagamento, al prezzo di circa 30 dollari. Una cifra alla «portata di tutti con cui ottenere uno strumento certamente molto utile per la pianificazione territoriale o a chi deve rilasciare autorizzazioni per edificare su una data area, ad esempio il Genio Civile o altre istituzioni, ma anche per ingegneri, geologhi e addetti alla pianificazione del territorio pubblici e privati», spiega Neri. Che, grazie al lavoro dell’Ignv, si trovano a disposizione un «elemento cartografico digitale che noi definiamo la congiunzione tra il mondo della scienza e il cittadino comune – spiega il vulcanologo – fruibile in modo più comodo e semplice da usare rispetto al confronto con il materiale cartaceo perché si trova tutto online e per accedere basta istallare Google Earth». Per adesso, premette Neri – «il prodotto è coperto dal copyright della rivista, ma tra qualche tempo si potrebbe pensare di realizzarne una versione free».