«Cosa nostra si approfitterà della disperazione», dice Filippo Misuraca, che ha denunciato anni fa e teme che chiunque adesso possa trasformarsi in un facile bersaglio. Ma per qualcun altro si sta «criminalizzando a priori una categoria già in ginocchio»
Covid, grido d’aiuto degli imprenditori che sfidano la mafia «Non c’è spazio per noi nel Cura Italia, siamo rimasti soli»
«Non hai più soldi? Non sai più come guadagnarli? E che problema c’è? Eccoli qua, te li diamo noi i soldi». In tempo di emergenza Coronavirus un’offerta del genere tende a far pensare al generoso gesto di un amico o di un parente, di qualcuno che può permettersi di dare una mano a chi in questo momento non sa come dire alla famiglia che spesa, da oggi, non se ne può più fare. Può sembrare, ma non è esattamente così. Non sempre almeno. Perché a volte dietro quella generosa offerta del momento c’è qualcuno che è tutto fuorché un benefattore. «La mafia paura del virus non ne ha, anzi semmai in questo momento sta godendo di questa situazione». Gode, cioè, della disperazione di tutte quelle persone che ieri lavoravano e che oggi si ritrovano senza niente. Svanito il lavoro, svanito il guadagno, svanita quindi la possibilità di campare.
Questa la denuncia di Filippo Misuraca, imprenditore di Giardinello che conosce bene, suo malgrado, le cose di cui Cosa nostra è capace. Sono quelle che lui stesso ha subito e denunciato anni fa, innescando blitz, arresti, processi e condanne. Che, però, non hanno fatto altro che esporlo e metterlo a rischio. Specie all’interno di una comunità che anziché schierarsi dalla sua parte, ha isolato lui e la sua famiglia. Con la solitudine e la paura, loro, fanno i conti ormai da sette lunghissimi anni. La subiscono da parte del paese dove ogni giorno vengono guardati con sdegno e da uno Stato che non si dimostra in grado di proteggerli dalle minacce della criminalità. Una solitudine simile a quella che, adesso, provano tanti altri imprenditori come Filippo, che però con la mafia non hanno mai avuto a che fare. Finora almeno. Perché il rischio, secondo lui, è che chiunque adesso possa trasformarsi in un bersaglio facile che le mafie possono prendere di mira.
«La pandemia porterà seri problemi – dice -, la chiusura delle attività e la disperazione potrebbero comportare finanziamenti illeciti, tassi di usura, intere famiglie sostenute dalla mafia. L’unica cosa positiva, nel mio caso, è che io la mafia l’ho già denunciata anni fa, alla mia porta non ci viene di certo nessuno a dispensare fantomatici aiuti. Ma ho toccato con mano la disperazione di tante persone, e proprio la disperazione può portare a fare qualunque cosa, persino una rapina. Non sottovalutiamo la situazione, quindi. Se si contamina la parte pulita che rimane, poi cosa diventiamo? Saremo davvero solo dei morti che camminano». Uno scenario, in realtà, che Filippo non è il solo a temere. Da giorni, da nord a sud, ci sono magistrati che stanno sollevando lo stesso problema. A lanciare l’allarme anche l’associazione antiracket e antiusura Sos Impresa, che a MeridioNews ha raccontato come le mafie chiedano «in modo più o meno persuasivo di cedere le attività al 50 per cento, in una prospettiva di allargamento del livello di penetrazione nel sistema di economia legale, per convertire la black money, cioè i soldi sporchi, in economia legale, trasformandosi e rigenerandosi». Da un lato quindi infiltrandosi in qualcosa di pulito, dall’altro raccogliendo un ampio consenso tra le persone in questo momento più fragili e bisognose.
«Per noi sarà la fine», torna a dire Filippo. E non è il solo ad essere preoccupato da questo potenziale scenario. Ci sono tutti quelli che la mafia, come lui, l’hanno denunciata. Dai collaboratori ai testimoni di giustizia, specie quelli che oggi vivono sotto tutela e in località segreta e che si ritrovano nella condizione di non poter nemmeno chiedere aiuto al Comune di residenza, perché il loro non è che un indirizzo fittizio che dovrebbe proteggerli. «Non solo gli imprenditori, ma tutti i denuncianti anche in questo momento sono lasciati soli», insiste Filippo. «Nel decreto Cura Italia per noi non c’è spazio, siamo rimasti esclusi», gli fa eco anche il testimone di giustizia Ignazio Cutrò: «Il mondo dei collaboratori e testimoni di giustizia è in subbuglio. Il viceministro Crimi, presidente della Commissione Centrale con delega ai collaboratori e testimoni non risponde agli appelli e quel che peggio non si occupa delle problematiche di coloro che hanno collaborato con la magistratura nella lotta contro la criminalità organizzata di stampo mafioso – denuncia sui social -. L’emergenza da Coronavirus non può essere il paravento per nascondere il menefreghismo e il disinteresse da parte del viceministro dell’Interno, in quota al M5S, Vito Crimi».
«Così come risulta che grande assente è il Servizio Centrale di Protezione – continua Cutrò -. Le istituzioni si facciano carico di questa denuncia pubblica e agiscano affinché la Commissione Centrale e il Servizio Centrale di Protezione rispondano ai loro compiti istituzionali». Non ci sarebbero istituzioni né banche a dare una mano ai denuncianti. E nemmeno l’Inps: «Ho provato ad accedere alla piattaforma ma continuava a bloccarsi, non reggeva, come si fa così? – torna a dire Filippo Misuraca -. Servono aiuti da destinare a tutti, da chi ha la partita Iva a chi soprattutto lavorava in nero, chi si arrangiava insomma, quelli che oggi che è tutto fermo sono praticamente diventati dei fantasmi che nono vede nessuno, non esistono. Ecco, loro sono i primi che lo Stato dovrebbe aiutare». Tutte categorie che si sono in qualche modo ritrovate dalla stessa parte nel gruppo Facebook creato dall’imprenditrice e testimone di giustizia palermitana Valeria Grasso e dall’imprenditore Vincenzo Balli, Sostegno alle Famiglie e Partita Iva – Covid 19.
Non tutti gli imprenditori, però, non sono d’accordo con quelle che per loro rischiano di essere soltanto delle pericolose generalizzazioni. Come Francesco Massaro, titolare di un noto bar in via Ernesto Basile: «Da qualche giorno magistrati e investigatori dicono: “la mafia è pronta a prendersi le aziende in crisi”. “Gli imprenditori pronti a mettersi nelle mani dei mafiosi per salvare le aziende”. Ora – scrive nella sua riflessione affidata ai social – dopo questo disastro tutte le aziende affronteranno una crisi profonda, tutte. Compresa la mia. E vi confesso che leggere da qualche giorno che gli imprenditori, gli imprenditori come categoria, così, ad cazzum, indiscriminatamente, sarebbero pronti a ospitare i capitali mafiosi pur di salvare l’azienda mi urta, mi infastidisce, mi fa rabbia. Io direi di trovare una sorta di armistizio e di metterci d’accordo così, lo spiego con la basicità di cui un sempliciotto come me è capace. Si mettano i telefoni degli imprenditori sotto controllo, si capisca quali sono le aziende che finiranno nelle mani della mafia e poi si facciano i nomi. Ma così no, così è sparare nel mucchio per il gusto di farlo, è istituzionalizzare una caccia alle streghe vergognosa. Criminalizzare a priori una categoria in ginocchio e darla in pasto, senza un volto, senza un nome, all’opinione pubblica e non si fa».