Per Roberto Sajeva e Ilda Boccassini «era abbastanza palese un problema di attendibilità del dichiarante». Ma gli altri magistrati dell'ufficio erano di altro avviso: «Ritenevano che si dovesse fare di tutto per salvare quel collaboratore. Ci fu un contrasto aspro»
Tutti i dubbi di Sajeva sulle dichiarazioni di Scarantino «Accusò persone che non sapeva nemmeno riconoscere»
«Criticità». È una parola che ricorre spesso nel racconto di Roberto Sajeva, ripercorrendo le indagini sulla strage di via D’Amelio in occasione del processo a carico degli ex funzionari del pool Falcone-Borsellino Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Oggi procuratore generale alla corte d’appello di Catania, è stato applicato dal gennaio all’ottobre ’94 alla procura di Caltanissetta. Si occupa da subito di diversi procedimenti penali, tra cui anche quello relativo alla strage del 19 luglio ’92. Oltre a lui e al procuratore capo Giovanni Tinebra, all’epoca ci sono anche i magistrati Francesco Paolo Giordano, Carmelo Petralia, Ilda Boccassini. Ai quali si aggiungono nel corso del ’94 anche Annamaria Palma e il Nino Di Matteo. Almeno, secondo i ricordi di Sajeva oggi. «Fausto Cardella? Io non l’ho incrociato a Caltanissetta, così come il dottore Vaccara. Tescaroli potrebbe essere». Ma come sono, in quel momento, i rapporti tra questi magistrati e i componenti del gruppo Falcone-Borsellino? «I miei rapporti sono stati soltanto istituzionali, il dibattito che com’è noto c’è stato sulla collaborazione di Scarantino, più che tra ufficio giudiziario e ufficio di polizia, è stato interno all’ufficio giudiziario», spiega.
Sembra, insomma, che all’interno del gruppo non ci fosse esattamente una uniformità di vedute. «Si manifestano dopo la pausa estiva, quando a settembre Scarantino viene interrogato più volte: rispetto al discorso che aveva sviluppato, che aveva una sua coerenza interna – spiega -, cominciano ad emergere dei momenti di criticità. Scarantino coinvolge nei suoi esami di settembre dei soggetti che prima aveva escluso come presenti nella nota riunione a casa di Calascibetta, soggetti come Cancemi, Ganci, Di Matteo, La Barbera. Emersero delle ulteriori criticità posto che in sede di ricognizione fotografica: pur avendo riferito che erano soggetti che aveva più volte incontrato, non fu in grado di riconoscere La Barbera e Di Matteo, agli altri invece attribuì aspetti fisici non corrispondenti. Si rivelò quindi come un dichiarante da valutare con estrema attenzione, emerse in buona sostanza un giudizio, quanto meno parziale, di inattendibilità». A Vincenzo Scarantino vengono contestate anche le dichiarazioni degli altri tre collaboratori di giustizia. «Questo determinò in taluni la convinzione che fosse necessario fare un passo avanti e sottoporre Scarantino a un confronto coi tre collaboratori», spiega oggi Sajeva.
Solo che non tutti, in quell’ufficio, sono dello stesso avviso. «Si sviluppa un dibattito interno: per me e la dottoressa Boccassini era abbastanza palese un problema di attendibilità del dichiarante, mentre si suggeriva un atteggiamento assai più prudente dagli altri colleghi, parlo di Tinebra, Giordano, Petralia. Credo ci fosse una posizione invece di minore rilievo in quel momento dei colleghi Palma e Di Matteo, i miei ricordi infatti sono di un confronto con gli altri magistrati». Queste divergenze portano sia Sajeva che la collega Boccassini a maturare l’esigenza immediata di mettere quelle loro posizioni contrastanti nero su bianco, di formalizzare insomma uno scritto a tutti gli effetti, una sorta di lettera, una nota, per cristallizzare quella divergenza. Quella lettera, intitolata Appunti di lavoro per la riunione del 13.10.’94, porta la data del 12 ottobre ’94, pochissimo dopo entrambi i magistrati andranno via dalla procura di Caltanissetta. La missiva è indirizzata soprattutto ai colleghi della Dda, coi quali il giorno dopo avrebbe dovuto esserci una riunione, che alla fine salterà proprio a seguito di quella nota. «Volevamo che rimanesse traccia del fatto che avevamo espresso una posizione differente». Motivo per cui quella missiva decidono di recapitarla anche alla procura di Palermo.
«Fu inviata anche a un altro ufficio perché c’era la possibilità che a Caltanissetta non venisse protocollata. Cosa che invece, per il suo rilievo, ritenevamo dovesse avvenire. Io l’avrei protocollata. La paura che non avvenisse nasceva dal contrasto che si era evidenziato, appunto – spiega Sajeva -. Tinebra si irritò per quella lettera. Era un contrasto piuttosto aspro: da parte nostra si mettevano in risalto questi elementi che svalutavano di molto l’attendibilità di Scarantino, si trattava di una valutazione oggettiva di quello che andava via via emergendo, la nostra posizione era quella di un accertamento della verità; dall’altra invece si riteneva che si dovesse fare di tutto per salvare quel collaboratore, superando gli elementi di criticità. È nel contesto di questo scontro dialettico che nasce questa lettera, spedita anche a Palermo per il sospetto che non ne rimanesse alcuna traccia». Una collaborazione, quella del picciotto della Guadagna, che per qualcuno andava sostenuta ad ogni costo, sembra. Sarà questo, quindi, che avrebbe motivato tutti quei colloqui investigativi mentre è detenuto? «Non sapevo di questi colloqui reiterati – dice subito Sajeva -. Si era detto che era necessaria un’attività di supporto psicologico e di incoraggiamento dentro al carcere di Pianosa. Si trattava di mantenere un collegamento tra lui e i funzionari del gruppo, per sostenerlo appunto». Attività di cui, però, lo stesso Sajeva non saprebbe citare altri esempi e casi in cui sarebbe accaduta la medesima cosa.
Perché, si chiede però oggi l’avvocato Seminara, Sajeva all’epoca etichetta Scarantino come un dichiarante inattendibile, se proprio lui, anni dopo, chiederà la conferma in appello della condanna inflitta al cognato Salvatore Profeta, basandosi su una parte di quelle dichiarazioni? «O è attendibile o non lo è». «Nella nota del ’94 parlo di “un’attendibilità fortemente incrinata” – risponde il magistrato -. Se per caso avesse modificato ancora una volta le sue dichiarazioni, “mi sono sbagliato su tutti”, difficilmente la valutazione finale sarebbe cambiata. Io ho fatto in quella nota del ’94 una valutazione allo stato dei fatti dell’epoca, ed era una valutazione fortemente critica». Tuttavia, sia Ilda Boccassini che Roberto Sajeva pare sarebbero rimasti a Caltanissetta se, in seguito a una modifica normativa, fosse stato possibile prorogare il mandato e continuare quel lavoro. Malgrado il contrasto emerso coi colleghi dell’ufficio.