Cara di Mineo, attesa la decisione dei sindaci Comitati: «No a una gestione clientelare»

C’è chi vorrebbe smantellarlo e chi potenziarlo. Tutti, comunque, sono contrari alla sua presunta gestione clientelare. E’ il Cara di Mineo, ancora una volta al centro delle polemiche dopo l’annuncio dei sindaci dei Comuni dell’area del Calatino Sud-Simeto di voler prendere in carico l’organizzazione della struttura insieme all’attuale soggetto attuatore, la Provincia di Catania. Un progetto di consorzio annunciato alla stampa ma sui cui ancora, di concreto, non è stato stabilito nulla. «E’ allarmante apprendere che a distanza di circa due settimane dall’incontro svoltosi al Cara di Mineo tra il soggetto attuatore, l’onorevole Giuseppe Castiglione, e gli stessi Sindaci del Calatino Sud–Simeto, ancora si debba iniziare a lavorare sullo statuto del consorzio di scopo», denuncia il comitato Pro-Cara. «Adesso c’è chi ha il coraggio di manifestare a Mineo non per il diritto dei migranti ad un futuro degno, viste le ingiustizie subite, ma perché prosegua il business sulla loro pelle, parcheggiandoli a tempo indefinito nel Cara», rispondono dalla Rete antirazzista catanese, che il centro di accoglienza per migranti vorrebbe vederlo chiuso.

«Non ci si rende conto che mentre i sindaci continuano a non decidere il Cara di Mineo sarà già stato soppresso?», insistono dal comitato a favore del suo mantenimento. Nessuna motivazione, secondo i promotori, può giustificare questo stallo istituzionale e «il concreto rischio di chiusura della più grande azienda del territorio e con essa il default economico del Calatino Sud–Simeto». Lavoro e sviluppo del territorio, spiegano, che non possono essere frenati dagli eventuali oneri economici di cui sembrano preoccuparsi i primi cittadini della zona. Ma a impensierire di più il comitato Pro-Cara è che le lungaggini sul futuro del centro non siano di natura burocratica, ma politica. «Sembra che ad appassionare gli attori del confronto sia prioritariamente l’assegnazione di ruoli e l’affidamento di incarichi – scrivono in una nota – E’ forse aperta una lotta intestina, che qualcuno addirittura vorrebbe portare al Viminale, che mette a rischio il proseguimento dell’esperienza del Cara di Mineo?».

L’unico tema che trova d’accordo anche i sostenitori della tesi opposta, quella della chiusura del centro, della Rete antirazzista catanese. «Si tratta di una squallida operazione clientelare operata ai danni dei richiedenti asilo – commenta Alfonso Di Stefano – Tutti i sindaci che ora vorrebbero partecipare al consorzio, ai tempi dell’apertura del Cara, si erano detti contrari. Tutti, da destra a sinistra». Ma le cose, poi, sono cambiate. «Sono bastate 200 e più assunzioni bipartisan per accontentare le varie realtà e adesso tutti sono convinti a mantenere il centro». Che nulla avrebbe a che vedere, secondo i membri della Rete, con lo sviluppo del territorio e, soprattutto, i diritti dei migranti. «E’ impensabile tenerli segregati a dieci chilometri dal più vicino centro abitato – continua Di Stefano – Una soluzione che, tra l’altro, costa ai cittadini sei milioni di euro all’anno solo per l’affitto».

Il loro modello per una vera integrazione, infatti, passa da una proposta diversa: moltiplicare le sedi Sprar – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – nei centri medio-piccoli. Come è stato fatto a Riace, in provincia di Reggio Calabria, «un’esperienza all’avanguardia in ambito europeo e su cui ha girato un film anche un regista di fama mondiale come Wim Wendes». Un paesino di 1800 abitanti dove vivono perfettamente integrati circa 130 richiedenti asilo. «Gestendo botteghe artigianali e una trattoria, e facendo riaprire la scuola elementare, chiusa a causa della scarsa natalità del paese», ricorda Di Stefano. Che annuncia per il prossimo 18 dicembre, in occasione della giornata di azione globale contro il razzismo, un nuovo incontro interetnico di fronte al Cara in favore della sua chiusura.


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Un consorzio tra la provincia di Catania, attuale ente attuatore del centro di accoglienza per migranti, e i primi cittadini dell'area Calatino Sud-Simeto. E' la proposta lanciata qualche settimana fa a mezzo stampa dagli stessi soggetti, ma finora non concretizzata. «Il centro intanto rischia di chiudere», denunciano i sostenitori della struttura. «Meglio così, è un'operazione segregazionista», rispondono dalla Rete antirazzista catanese. Entrambi, però, sono d'accordo su una cosa: a far discutere i politici sarebbe solo la spartizione degli incarichi

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