Le confessioni di Maurizio Lipani davanti al gip Dettagli pure su episodi per cui non era indagato

«Voglio dire tutto». Maurizio Lipani, il commercialista palermitano che lunedì è finito ai domiciliari con l’accusa di peculato e autoriciclaggio, questa mattina davanti al gip di Palermo ha deciso di collaborare. Ammettendo, come prima cosa, di aver messo le mani sugli oltre 350mila euro provenienti da due aziende ittiche trapanesi del boss Mariano Agate, nelle quali il figlio Epifanio e la moglie continuavano di fatto a gestire ogni cosa, malgrado la presenza dell’amministratore giudiziario. Confessa e va addirittura oltre, dichiarando di essere disposto a fare luce anche su altri episodi per i quali, finora, non è stato indagato.

Ma perché questo comportamento, dopo una carriera ventennale di incarichi e successi? «Qui parliamo di un amministratore che ha avuto numerosi incarichi e che per alcuni, non si sa perché, ha ritenuto di impossessarsi dei soldi che facevano parte dell’amministrazione», ha spiegato infatti il procuratore capo di Palermo Franco Lo Voi a proposito di Lipani. Questo atteggiamento, avrebbe spigato lo stesso commercialista oggi al gip, sarebbe legato ad alcuni problemi di salute, che lo avrebbero portato all’uso di farmaci psicotici per riuscire a fronteggiare soprattutto gli stati d’ansia derivanti da una serie di problemi in ambito lavorativo.

Avrebbe vantato una serie di crediti nei confronti dello Stato per le amministrazioni giudiziarie da lui gestite. Crediti per un valore di un milione di euro. I ritardi nell’ottenere alcuni incassi, le difficoltà, le spese di gestione avrebbero in qualche modo contribuito a mettere sotto pressione Lipani, generando in lui un perenne stato d’ansia. Come affrontare quella situazione? L’idea è quella scoperta dagli inquirenti, sottrarre alcune somme dalle aziende che amministrava. Con la promessa, avrebbe chiarito al gip, di restituire tutto non appena entrato in possesso di tutto quello che gli spettava. Intanto, avrebbe rinunciato a tutti i suoi incarichi.

«Ha ammesso i fatti e ne ha sostanzialmente spiegato la genesi – conferma l’avvocato Massimo Motisi, che lo rappresenta e che oggi lo ha accompagnato dal gip -. Da anni ha una patologia derivante un po’ dalla vecchia gestione con cui era in polemica, la gestione Saguto, ne sono derivati grossi ritardi, grossi crediti non riusciti a incassare, quindi pur comprendendone perfettamente la gravità si è ritrovato a prendere questi soldi. Lui si riprometteva di rimetterli, cosa che per un paio di amministrazioni era già accaduto, come ha spiegato lui stesso. E sperava che non appena avesse finito di incassare tutte queste somme, avrebbe restituito completamente tutto». Solo che Lipani non ha fatto in tempo, sono arrivati prima gli inquirenti. «Lui è molto provato, si è reso conto di aver tradito il suo ruolo di amministratore giudiziario. Anche se, lo ha precisato con forza davanti al gip, non è mai sceso a compromessi con i soggetti amministrati – spiega ancora l’avvocato Motisi -, da questo punto di vista non è mai successo nulla di anomalo e infatti è un dettaglio che non gli viene minimamente contestato».

Poco più di 37mila euro: a tanto ammonta la cifra di cui, nell’ottobre 2018, Lipani si appropria, sottranedoli alla Glocal Sea Fresh. Lievitano fino a 318mila, invece, le somme sottratte alla Moceri Olive, società agricola trapanese di cui è amministratore giudiziario dal 2013. Per farlo gli “bastano” 93 singoli prelievi in contanti, dai 300 ai diecimila euro addirittura, e 35 singoli bonifici bancari disposti su conti intestati a sé o a terzi, per un valore oscillante tra i 150 e i 14mila euro. Cifra che nel frattempo lievita, rimpinguata ininterrottamente per sei anni, dal 2013 al 2019. “Saldo fattura”, “fondo spese”, “rimborso spese”, “giroconto”, queste le causali per giustificare tutti quei versamenti sui propri conti bancari. Sono circa 340 quelli che, tra personali e professionali, attivi o già estinti, che vengono ricollegati a lui dai magistrati.

La Glocal Sea Fresh viene sequestrata il 7 giugno 2018. Già tre mesi dopo iniziano i versamenti nel nuovo conto corrente intestato all’amministrazione giudiziaria, è l’1 ottobre e su quel conto finiscono 39mila euro. Poi, ancora altre date: il 12, il 19, il 22 e il 23 ottobre ordina ulteriori bonifici da quel conto a uno suo personale. Mille euro, trecento euro, due da cinquecento euro, ogni volta con la stessa causale. E tutto senza alcuna autorizzazione. «Si evidenzia che non risulta depositata alcuna relazione dall’amministratore giudiziario, il quale non ha richiesto alcuna autorizzazione al giudice delegato della procedura e ha posto in condotte omissive contrarie ai propri doveri d’ufficio ragione per cui è stato diffidato». È l’11 febbraio 2019 quando dal tribunale di Trapani viene fuori questa decisione. Nonostante la diffida, Lipani la relazione non la deposita lo stesso. Circostanza che fa scattare, a questo punto, la revoca del suo incarico. Non prima di essersi appropriato però di 40mila euro.

Per la Moceri Olive, sequestrata nel 2013 e confiscata nel 2017, le cifre sono ancora più consistenti. Anche perché per attingervi Lipani avrebbe avuto ben sei anni di tempo. Gli inquirenti stimano infatti che dal 22 ottobre 2013 al 5 marzo 2019 avrebbe prelevato 171mila euro in contanti. E anche qui, manco a dirlo, non risultano decreti, autorizzazioni, nulla che giustifichi quegli acconti e rimborsi spese. Prelievi immotivati e arbitrari che Lipani avrebbe perpetrato anche quando è subentrata la confisca definitiva dell’azienda, passaggio in cui l’Agenzia nazionale dei beni confiscati avrebbe dovuto nominare altri suoi amministratori. Ma lui continua: prima prelevando altri 32.800 euro in contanti e poi disponendo in proprio favore una serie di bonifici per un totale di 91.780euro; gli ultimi bonifici, in ordine di tempo, sono quelli ravvicinatissimi del 28 maggio e del 2 giugno scorsi, di 14mila e di 6.500 euro. Un’autoliquidazione di compensi e rimborsi senza fine, durata anni, da quello emerso finora. 40mila dalla Glocal e 318mila dalla Moceri.

Sono tanti soldi, una parte dei quali sarebbe stata riutilizzata da Lipani. “Acconto cessione studio”, recita infatti una di queste operazioni. È l’1 ottobre e con un bonifico a terzi di 35mila euro Lipani acquisisce una partecipazione nello studio professionale poi denominato, dal mese successivo, studio Lipani Leuci, a Milano. Ma quelli sarebbero i soldi della Moceri Olive. Lo sarebbero anche i successivi 13mila che versa poche settimane dopo, facendole prima transitare sul proprio conto personale, così da dissimularne la provenienza illecita. Soldi su soldi: versamenti, bonifici, conti a mai finire. Sullo sfondo di una vita di lusso e privilegi, a detta dei magistrati, che nei giorni scorsi avevano anticipato che si sarebbero appellati al tribunale del Riesame contro la decisione del gip di concedere i domiciliari. «Possibile inquinamento probatorio», dicevano dalla Procura di Palermo. Alla luce delle ammissioni e rilevazioni di questa mattina, e del pentimento di Lipani, insisteranno comunque per ottenere la custodia in carcere?


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